Storia della musica #39

 La neo psichedelia inglese

Se in America il recupero della psichedelia degli anni’60 è legato principalmente al Paisley Underground e a rivisitazioni acide della tradizione country-rock, nel Regno Unito il fenomeno della cosiddetta neo-psichedelia, che si apre con gruppi come Soft Boys, Echo & The Bunnymen e Teardrop Explodes, come tutti i movimenti musicali inglesi dei primi anni’80 deve fare i conti col post-punk.

I primi ad azzardare una fusione, apparentemente fuori luogo, tra psichedelia inglese e new wave sono i Soft Boys di Robyn Hitchcock con “Can Of Bees” (1979), ispiratori della nuova ondata psichedelica inglese dei primi anni ’80; non solo: col successivo “Underwater Moonlight” (1980) rilanciano in tempi non sospetti il jangle-pop anticipando nel tempo sia il college rock dei R.e.m. che i primi gruppi del Paisley.

Altrettanto seminale per la psichedelia inglese, un gruppo di fine anni ’70 di nome The Crucial Three: ne fanno parte Ian McCulloche Julian Cope e quando, sul finire del 1977, il gruppo si scioglie i due vanno a fondare, rispettivamente, Echo & The Bunnymen e Teardrop Explodes, i due gruppi più importanti di questo primo riflusso psichedelico inglese.

I primi debuttano nel 1980 con “Crocodiles”, disco dalla vena psichedelica oscura, più vicina ai Doors che agli zuccherini psichedelici inglesi, con un suono equamente diviso tra i ’60s e i tardi ’70 dei Joy Division. Più vario il suono dei Teardrop Explodes di Julian Cope, la cui insanabile vena melodica contagia e grazia il debutto del 1980 “Kilimanjaro”, mostrando un gruppo in grado di fondere Scott Walker, post-punk e Syd Barrett per ottenere un suono che rappresenta uno dei punti più alti del pop inglese del periodo.

Mentre sull’onda di queste uscite si collocano tanti gruppi minori come Chameleons, Sound e Wah! (formati anch’essi da un ex membro dei Crucial Three) legati ad una visione classica della psichedelia nello stesso momento escono tre esordi destinati a rivoluzionarne il significato stesso: ”Garlands”, del 1982, “Psychocandy”, del 1985 e “Sound Of Confusion”, del 1986, prime prove, rispettivamente, di Cocteau Twins, Jesus & Mary Chain e  Spacemen 3, pionieri di nuove sonorità che nella seconda metà degli anni ’80 andranno a confluire nel movimento shoegaze.

Con l’esordio dei Cocteau Twins si celebra la nascita del dream pop: l’esordio dà solo un assaggio di quel suono, fatto di chitarre riverberate, voci eteree che riecheggiano in uno spazio sonoro alieno, dipinto con pigra indolenza da un tappeto sonoro di sintetizzatori, quasi a portare il suono dei secondi Joy Division dall’inferno al paradiso. Col successivo “Head Over Heels” (1983) il suono del gruppo matura, divenendo allo stesso tempo marchio caratteristico dell’etichetta che li pubblica, la 4AD: il co-fondatore dell’etichetta, Ivo Watts-Russell, formerà lo stesso anno i This Mortal Coil, uno dei gruppi che meglio definisce il suono del cosiddetto pop onirico, all’esordio nel 1984 con “ It’ll End in Tears”.

Più in generale, la 4AD sarà sempre label di riferimento per il genere: sotto la sua egida usciranno, in particolare, i dischi di Dead Can Dance e A.R. Kane. I primi, formati dal duo Brendan Perry-Lisa Gerrard, fondono l’ambient di Brian Eno con il folklore più antico, da quello celtico a quello gotico fino ad arrivare alla musica rinascimentale ed ai canti gregoriani, creando un suono senza tempo che rappresenta il lato più solenne del dream pop; legati agli altri gruppi di scuderia solo dalla comune appartenenza alla 4AD e dalla comune dilatazione del suono gli A.R. Kane: è un loro progetto collaterale quel M/A/R/S/S che darà alle stampe la celebre “Pump Up the Volume” (uno dei primi singoli dance basati interamente su tecniche di campionamento) ed è dalle loro contaminazioni coi Can e con Miles Davis che, sin dal debutto “69” (1988) si può ascoltare un suono alieno per l’epoca, fusione inquietante di dub e dream pop (si ascolti ad esempio “Dizzy”) che anticipa di qualche anno le sonorità del trip-hop di Bristol.

Una versione americana delle atmosfere dilatate e sognanti del pop 4AD è quella data dai Galaxie 500 con “Today” (1988), disco che rielabora l’influenza dei Velvet Underground in uno spazio ovattato e sussurrato che anticipa il suono di quello slowcore che attraverserà come uno spettro i dischi di Codeine e Low, ma anche quelli dei due gruppi che nasceranno dalle ceneri dei Galaxie: Damon & Naomi e Luna.

Diversa la psichedelia di Jesus & Mary Chain e Spacemen 3, gruppi che riprendono ed interpretano in modo diverso la lezione del noise-rock minimale dei primi Sonic Youth (e indirettamente, dei Velvet Underground più mantrici e cacofonici): i primi, al debutto nel 1985 con “Psychocandy”, ne ereditano l’utilizzo sistematico del rumore, impiegando feedback e distorsioni e mettendole al servizio di un noise-pop che riprende magistralmente la facilità melodica dei primi Beach Boys e dei girl groups prodotti da Phil Spector, facendo però rivivere il wall of sound di quest’ultimo sotto forma di una coltre impenetrabile di rumore. È un’intuizione geniale, la conciliazione degli opposti, che genera una vasta platea di proseliti: prima di tutto in Inghilterra, dove i My Bloody Valentine celebrano con “Isn’t Anything” (1988) e col successivo “Loveless” (1991), il matrimonio tra il dream pop di marca 4AD ed il noise-pop dei fratelli Reid: nel ricreare queste sonorità dal vivo i membri del gruppo fanno poco per coinvolgere il pubblico venuto a vederli, assorbiti dall’incedere ipnotico della loro muraglia sonora stanno a testa bassa, immobili, fissandosi la punta delle scarpe: la stessa cosa che faranno, nel giro di un anno, decine di gruppi quali Ride, Slowdive, Swervedriver,Pale Saints, Boo Radleys e Lush che, proprio da questa comune abitudine, prenderanno il nome collettivo di shoegazers. A fornirgli supporto discografico, manco a dirlo, la 4AD.

Ovviamente, se la condotta sul palco era grosso modo la stessa, diverso era il modo di declinare le sonorità “inventate” dai My Bloody Valentine: i Ride di “Nowhere” (1990) combinano le sonorità del non-movimento musicale con il meglio della tradizione pop-rock inglese, rivelandosi i migliori songwriters della scena; fondono invece noise inglese e americano gli Swervedriver di “Raise” (1991) mettendo sullo stesso piatto My Bloody Valentine, Dinosaur Jr e Stooges; sono vicini al lato più sognante dello shoegazing i Pale Saints di “The Comforts of Madness” (1990).

È un suono destinato a durare poco, raggiungendo l’apice a cavallo tra gli ’80 e i ’90, (parallelamente allo sviluppo della scena di Madchester), per essere poi spazzato via dall’ondata del brit-pop: alcuni dei gruppi che ne sono stati protagonisti seguono il movimento nell’oblio, altri, come Push e Boo Radleys, riescono ad adattare il proprio suono alle mutate tendenze musicali, come dimostrato dai rispettivi “Split “(1994) e “Wake Up!” (1995), perfettamente sintonizzati con l’esplosione musicale brit pop.

Mentre in Inghilterra gli esperimenti col noise partono dai fratelli Reid e portano alla nascita del fenomeno shoegaze, in America gruppi come Dinosaur Jr. e Pixies battono altre possibili strade del connubio tra rock e rumore ugualmente importanti per lo sviluppo del rock: se ne riparlerà più avanti…

Anche perché si rischierebbe di tralasciare quella che rappresenta la terza via alla psichedelia inglese della seconda metà degli anni ’80, ovvero quella intrapresa da Jason Pierce coi suoi Spacemen 3 nell’esordio del 1986 “Sound of Confusion” e perfezionata col successivo “Perfect Prescription” (1987) , disco che oltre ad influenzare in parte anche il suono di shoegazers come gli Slowdive, contribuisce a definire il suono del cosiddetto space-rock: qui la psichedelia rivive nel suo aspetto più ipnotico, reiterazione di suoni alieni che è figlia del rock più minimale e allucinato. Dagli United States of America ai Silver Apples, dai Tangerine Dream ai Neu!, dai Velvet Underground ai Chrome, dai Suicide ai Sonic Youth, la tradizione del rock più allucinato, minimale, distorto e futuribile conduce qui, in una sintesi in cui il suono spaziale ha poco a che fare con la fantascienza e molto con l’esperienza lisergica: le chitarre distorte dei Velvet e il synth psicotico dei Suicide vengono riuniti in un rock ipnotico e minimale che costituirà un’influenza fondamentale per tantissimi gruppi, inglesi e non, che proseguiranno a declinare i suoni dello spazio in modi nuovi e imprevedibili, in ambito indie-rock (Six By Seven, Phaser  e Quickspace ), post-rock (Flying Saucer Attack, Godspeed You Black Emperor) e l’elettronica indie di Stereolab e Broadcast, questi ultimi esponenti peraltro di un pop ambientale che riconduce ad un suono unitario Cocteau Twins, Jesus & Mary Chain e Spacemen 3, come aveva già fatto d’altra parte lo shoegaze, a riprova di quanto questi suoni, pur con le loro differenze, siano legati da un mood comune, etereo e sognante.

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