Storia della musica #37
Il college rock americano e il pop rock inglese di metà anni ‘80
Definizione sfuggente e fumosa quella di college rock, almeno quanto quella di new wave, fenomeno di cui peraltro è una diretta conseguenza, figlio dello spirito del DIY e della libertà stilistica portata dal terremoto musicale di fine anni ‘70, non-genere che va ad indicare la prima incarnazione dell’indie rock degli anni’80. Come il nome suggerisce si tratta di gruppi che nascono nei pressi di centri universitari (Athens, Boston e un’infinità d’altri), la cui musica, spesso diffusa dalle radio dei college, viene creata e consumata da tutta quella fascia di ragazzi che non si ritrova né nelle soluzioni estreme proposte da metal ed hardcore né nel pop da classifica in voga ai tempi (dal synth pop al dance pop): pop-rock controculturale in cui il contenuto dei testi spesso e volentieri passa in primo piano rispetto all’aspetto musicale, testi che variano dai toni intimistici degli Smiths alla prosa criptica di Michael Stipe dei R.e.m.
Questi ultimi fin dall’esordio del 1983 con “Murmurs”, sintetizzando le armonie vocali Beatlesiane e il jingle-jangle (il suono tintinnante della chitarra) Byrdsiano, la lezione melodica del power pop dei Big Star ed echi country-rock di matrice Parsoniana e filtrando il tutto con una certa oscurità tipica della new wave creano un suono nuovo che annuncia la rinascita del pop-rock americano, il ritorno al rock chitarristico e la nascita dell’alternative rock. Quando, dopo cinque anni, arrivano con “Green” all’esordio su major il suono del gruppo è ormai maturo e la sintesi perfetta: il gruppo raggiunge comunque l’apice artistico in “Out of Time” (1991) e “Automatic for the People”, (1992), capolavori dei R.e.m. più mainstream che vanno necessariamente affiancati al fascinoso debutto di dieci anni prima.
Anche i B52’s hanno uno spirito retrò molto spiccato, andando a pescare ancora più indietro nella tradizione musicale americana con la loro fusione tra girls group, pop vocale, surf e rock’n’roll, animati da uno spirito più iconoclasta che revivalista: tutti gli aspetti più kitsch della cultura ‘50s sono ripresi e sbeffeggiati, mentre la rilettura musicale avviene attraverso dissonanze melodiche vocali e bizzarrie sonore che ricordano da vicino i Talking Heads, fin dall’omonimo, strabiliante esordio del 1979.
Più in generale il revival dei suoni del passato, specie provenienti dai ‘60s, è un fenomeno che non si limita ai due gruppi di Athens: Guided By Voices, Dbs, Smithereens, Posies, Young Fresh Fellows, Minus 5 e Beat Happening sono solo alcuni dei gruppi dell’epoca a riproporne le sonorità.
I Guided By Voices portano alle estreme conseguenze il principio reso popolare dal punk del Do It Yourself e dal 1987 cominciano a confezionare una lista pressoché interminabile di dischi registrati in casa che sono tra gli atti fondanti del cosiddetto lo-fi, termine e non-genere musicale all’insegna della registrazione sporca e casalinga che diverrà di moda a metà anni’90, tanto che “Bee Thousand”, disco del 1994 del gruppo, diviene un piccolo fenomeno di culto: nei dischi del duo formato da Pollard e Sprout si compie un piccolo miracolo, perché se è vero che la qualità dei suoni è pessima e che il missaggio a tratti sfiora i limiti del grottesco, la vena melodica dei due è abbastanza ispirata da far scordare del tutto all’ascoltatore la veste spoglia e amatoriale con cui sono presentate, anzi paradossalmente si finisce con l’amarne la veste trasandata.
Un altro gruppo vitale per lo sviluppo dell’estetica lo-fi sono i Beat Happening, artefici però di un suono molto più vicino al garage, specie nell’esordio omonimo del 1985: fondamentale sarà in particolare la figura di Calvin Johnson, leader della band che, accanto ad un percorso musicale mutante che lo vedrà toccare i generi più diversi, dal twee pop ad un garage-funk deragliante con i Dub Narcotic Sound System, viene ricordato anche per aver portato la città di Olympia sulla mappa musicale e averne fatto, con la fondazione delle K Records, una delle capitali americane dell’indie rock.
Accanto ad Olympia ed Athens un’altra città fondamentale per le sorti della musica alternativa è Boston: da lì provengono Throwing Muses e Blake Babies, due band accomunati dal recupero in chiave post punk dei suoni folk che portano alla ribalta delle cronache musicali alcune importanti protagoniste musicali dell’indie a venire (nel primo gruppo militano Kristin Hersh e Tanya Donelly, futura leader dei Belly, del secondo fa parte Juliana Hatfield).
Le sonorità sono comunque differenti: più oscuro l’esordio omonimo del 1986 delle Throwing Muses, più leggero e solare il pop chitarristico delle Blake Babies, che ricorda da vicino quello dei Lemonheads di Evan Dando, altro gruppo di Boston, che con Juliana Hatfield comincerà presto una fruttuosa serie di collaborazioni.
Se il recupero delle sonorità di Byrds e Big Star di Dbs, Smitheerens e Posies porta spesso ad associare tali gruppi al fenomeno musicale del power pop, sottocorrente musicale minore (ma solo dal punto di vista del successo commerciale) che dagli anni’70 in poi attraversa tutti e tre gli ultimi decenni del ventesimo secolo (e di cui si parla altrove), più eccentrica è la proposta musicali degli Young Fresh Fellows che su “Topsy Turvy” (1985) ripropongono in modo eccentrico le sonorità del garage-rock più pop degli anni ’60 associandogli una vena melodica che riporta alla mente lo stile di un gruppo che il garage l’aveva inventato: i Kinks.
Il leader del gruppo, Scott McCaughey formerà più tardi i Minus 5, all’esordio nel 1994 con “Old Liquidator”: di quel gruppo fanno parte, a chiudere il cerchio e a sottolineare l’invisibile ma tangibile legame musicale che lega questi gruppi, Peter Buck dei R.e.m. e Ken Stringfellow dei Posies.
La riproposizione dei suoni del passato, unico tratto comune nell’ondata di proposte musicali diffuse dalle college radio in questi anni avviene in modo del tutto eccentrico nei dischi di gruppi come Violent Femmes, Camper Van Beethoven e They Might Be Giants.
È del 1983 l’esordio omonimo dei primi: il punto di riferimento è il rock stralunato di Jonathan Richman, fuso però con gli umori e le sonorità della new wave, il risultato è un suono unico e dall’umore variabile, solare, naif, lamentoso o caustico secondo i momenti, una profonda ed irresistibile vena pop a fare da elemento di coesione. Se Richman è il punto di partenza per le Femmes, così le Femmes sono d’ispirazione ai primi They Might Giants, al debutto (omonimo) nel 1986: alla vena sardonica dei gruppi di cui sopra aggiungono un ecumenismo sonoro che fa suo il gioco della Bonzo Dog Doo Dah Band macinando ogni genere e stile che gli capiti sotto mano, dal Tin Pan Alley ai Beatles, dal surf al vaudeville, dal country al doo-wop, miscelandoli assieme in combinazioni che variano dallo spassoso al raccapricciante.
Al folk surreale dei Violent Femmes e alla vena onnivora dei They Might Be Giants possono essere accostati anche i Camper Van Beethoven, all’esordio nel 1985 con “Telephone Free Landslide Victory”, che fondono con nonchalance folk, ska, country, garage e new wave, completando così una triade di gruppi che sarà d’ispirazione fondamentale per tutti coloro che in futuro ne riprenderanno lo spirito (se non il suono) sardonico, dagli Weezer ai Cake.
Il gruppo-simbolo del college-rock americano restano comunque i R.e.m., avendo aperto ad una fusione tra new wave, power pop e revival degli anni’60 che ne costituisce il filone musicale centrale (aldilà delle infinite variazioni sul tema) e allo stesso tempo avendo vissuto quel percorso commerciale che conduce il college rock dal suo ruolo di musica alternativa per eccellenza all’assorbimento da parte del mainstream nei primi anni ’90, momento in cui il concetto stesso di alternative-rock comincia a sfumare e perdere di significato.
La loro controparte inglese sono gli Smiths di Morrissey, gruppo la cui vena lirica intimista e le cui sonorità agrodolci genereranno fin da subito schiere infinite di imitatori e seguaci, gettando l’ombra della sua influenza su tutto l’indie inglese, nessuno escluso dal twee pop al brit-pop, dai Radiohead ai Libertines: gli Smiths sono il primo gruppo inglese degli anni’80 ad abbandonare i sintetizzatori per tornare al guitar-pop e alla canzone da tre minuti tanto cara agli anni ’60, fin dal debutto omonimo del 1984, fatto che se da un certo punto di vista potrebbe spingere ad un parallelo coi R.e.m. del 1983 risulta ancor più rivoluzionario se si considerano le tendenze musicali inglesi dell’epoca, dominata dal synth-pop, in particolare il fenomeno musicale new romantic.
Fin da subito il suono del gruppo, anche grazie al crooning di Morrissey, è originalissimo e inconfondibile: ancora una volta c’è un recupero di sonorità dei sessanta, con una certa preferenza per i gruppi inglesi e i girls group, il tutto filtrato attraverso le asfittiche atmosfere new wave, un suono che raggiunge la perfezione in “The Queen Is Dead” (1986).
Nel momento stesso in cui il guitar-rock degli Smiths attecchisce, il “nuovo” pop-rock inglese può dirsi sbocciato: James, House of Love Wedding Present e Housemartins sono solo i primi gruppi che ne seguono le traiettorie sonore.
Se i James tenderanno a vivere all’ombra dei loro mentori per poi adattarsi il più possibile alle varie mode che imperverseranno negli anni successivi, dal fenomeno baggy a quello del brit-pop, gli Housemartins modellano in “London 0 Hull 4” (1986) un suono più originale, sorta di fusione tra Morrissey ed Everly Brothers: dallo scioglimento del gruppo nasceranno i Beautiful South, mentre il bassista Norman Cook diventerà uno dei protagonisti del big beat sotto lo pseudonimo di Fatboy Slim).
Debuttano nel 1988 gli House Of Love di Guy Chadwick con un disco omonimo che fa rivivere le melodie Smithsiane e per imprigionarle tra i muri sonori che cominciavano a diffondersi in quegli anni grazie al nascente fenomeno del noise-pop.
Un caso a parte anche i Wedding Present di “George Best” (1987), disco in parte ricollegabile alla scena c-86: l’anno di “The Queen is Dead” vede infatti l’uscita, in allegato alla storica rivista inglese N.m.e., di una cassetta di nome “c-86” , trampolino di lancio per giovani gruppi di belle speranze. Molti di essi rimarranno sconosciuti, ma della partita fanno parte future stelline dell’indie rock come Primal Scream, Pastels e, appunto, Wedding Present.
A livello musicale i gruppi presentati sulla compilation sono legati tra loro da uno stile che riprende il pop-rock melodico degli Smiths e lo riconduce ad un livello elementare, quello degli storici tre accordi dei Ramones: è la nascita di un suono che prenderà vari nomi, da c-86 ad anorak pop, e che confluirà nel cosiddetto twee pop, ad unire per la prima volta gruppi Scozzesi ed Inglesi nella comune ricerca di melodie accattivanti ed immediate.
Ancora una volta è necessario fare un piccolo passo indietro: da sempre alla Scozia si era associata una tradizione melodica molto forte, la stessa che aveva fatto sì che negli anni’60 il folk di Dylan si trasformasse con Donovan in un pop-folk fiabesco: non stupisce quindi che nei primi anni’80 la scena Scozzese, dopo aver respinto l’onda anomala del punk, contrapponesse nei primi anni ’80 al suono della new wave quello, più tradizionalista, di gente come Orange Juice, Josef K ed Aztec Camera, tutti gruppi riuniti sotto l’etichetta storica Postcard.
Sono proprio loro, insieme agli Smiths, i padri putativi della scena twee pop: anche in questo caso c’è un’etichetta-simbolo, la Sarah Records, per cui incideranno, tra gli altri, Field Mice, TalulahGosh ed Heavenly, e che si rivelerà fondamentale per quel suono, che verrà portato avanti in modi e forme diverse da gente come Belle & Sebastian, Gentle Waves e da un’etichetta come la svedese Labrador.
Se il fenomeno twee pop trova terreno fertile nel Regno Unito non mancheranno le eccezioni: da “Jamboree”, del 1988, seconda prova discografica degli americani Beat Happening alle giapponesi Shonen Knife, esempio perfetto di quel suono frizzante e naif, assurte allo status di culto anche in occidente grazie a “712” (1991).
In pochi anni, grazie all’effetto trainante di alcuni gruppi-chiave, come i R.e.m. in America e gli Smiths in Inghilterra, che avevano segnato il ritorno al rock chitarristico con ascendenze ‘60s, ma anche di formazioni che partendo dal punk, come gli Xtc o dall’hardcore, come gli Husker Du, erano stati attratti, pur senza “tradire” le origini, dalle fascinose sirene della melodia pop, si era formato un’incredibile varietà di sotto stili e gruppi, scene musicali ed etichette, che avrebbero costituito l’ossatura dell’indie rock e più in generale della musica alternativa dei decenni a venire.
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