Ornette Coleman - The Shape Of Jazz To Come (1959)
Per tutta la sua vita, Ornette Coleman ha avuto a che fare con due tipi di ascoltatori ed appassionati: una parte, che negli anni si è sempre più rinforzata, che lo ha considerato un genio. L’altra, all’inizio più numerosa, che lo considerava uno svitato. Proprio svitato lo chiamava Miles Davis, che poi cambiò idea, e leggenda vuole che durante una esibizione in un famoso locale nel 1954, Dizzy Gillespie si piazzò a braccia conserte in piedi dinanzi al suo gruppo ed esclamò:”Ma state facendo sul serio?”.
Ornette Coleman fu così controverso perchè è stato l’inventore del free jazz. Lo fa partendo da un presupposto incontrovertibile: era per abilità un passo indietro ai grandi maestri del sax del suo periodo. Questo però lo costrinse a cercare nuove vie, nuove strade. Nato nel 1930 in Texas, sin da adolescente si innamora del sax e del rhythm’n’blues. Si lega ad una band itinerante come sassofonista, e durante una serata a Baton Rouge il suo sax viene fatto a pezzi da dei tizi ubriachi.
Questo è un momento chiave: per anni Coleman farà lavoretti un po’ ovunque per vivere, e solo nel 1954 grazie a John Lewis del Modern Jazz Quartet ha la possibilità di registrare della musica, per l’etichetta Contemporary. Non potendosi permettere altro, passa dal sax in metallo a quello di plastica, primo avvenimento che fa storcere il naso a colleghi e puristi: il sax di plastica perde il suono tintinnante e diventa più squillante e acuto. Nel 1958, Coleman pubblicò finalmente il suo primo disco per la Contemporary, Something Else!: The Music Of Ornette Coleman. Le sessioni in studio comprendevano Don Cherry alla tromba, Billy Higgins alla batteria, Don Payne al contrabbasso e Walter Norris al pianoforte. Già si intravedono alcune caratteristiche peculiari della sua musica: il suono inusuale del sax di plastica, che Coleman ha sempre cercato di modulare come se fosse una voce umana, le linee melodiche non comuni, il fortissimo legame con il blues e il r’n’b, pur mantenendo i legami con il jazz bebop. Con il successivo Tomorrow Is The Question! la seconda pietra dello scandalo. Coleman per la prima volta elimina il pianoforte. In piena estasi creativa passa alla Atlantic, e sotto la guida di Nesuhi Erdegun, uno dei due leggendari fratelli di origini turche che fondarono l’etichetta Atlantic, riscrive il jazz nell’album di oggi. The Shape Of Jazz To Come (1959, che si può tradurre come La Forma Del Jazz Che Verrà) fu un terremoto. L'opera fu considerata scioccante, quasi una presa in giro dai detrattori, poiché non conteneva strutture di accordi memorizzabili e includeva improvvisazioni simultanee da parte degli strumentisti in uno stile completamente libero rispetto a quanto si era precedentemente sentito nel jazz. Il metodo compositivo di Coleman non si basava sulla tradizionale teoria armonica, cioè un insieme di trasposizioni ascendenti o discendenti di una sequenza di accordi, ma si sviluppa invece per linee melodiche destrutturate e spesso indipendenti tra loro. Il tutto lasciando fuori gli strumenti a corda. I brani mantengono brevi accenni di melodia, e fin qui rimangono i legami con più canonici brani jazz, ma vengono sviluppati da momenti, anche piuttosto lunghi, di pura improvvisazione senza schemi, a cui fa seguito la ripetizione del tema principale; mantenendo la struttura del bebop, ma abbandonando l'uso degli accordi. La formazione oltre a Coleman al sax, era composta dal fido Don Cherry alla tromba, Charlie Haden al contrabbasso, Billy Higgins alla batteria. In scaletta brani ormai storici come Lonely Woman, forse il suo brano più famoso, Peace, con una super improvvisazione di Coleman che dura 9 minuti, Focus On Sanity, un susseguirsi di assoli, e i due brani più criptici, Eventually e Congeniality. In tutti i brani si avverte una frenesia creativa che si sviluppa in assoli che assomigliano a scariche elettriche, in una specie di musica senza rete che Coleman svilupperà nel successivo Free (1960), una immensa e lunghissima improvvisazione di 40 minuti, uno shock per l’epoca, registrata con due quartetti, in stereo uno sul canale destro, uno su quello sinistro, che sin dal titolo sancisce la nascita del jazz d’avanguardia, che prese appunto il nome di free jazz. Su questo punto apro una piccola discussione: per molti, me compreso, nemmeno Coleman seppe mai spiegare il perchè prese queste decisioni, tant’è vero che per i suoi detrattori il punto più forte per contestare la sua grandezza è la difficoltà con cui non seppe mai spiegare per bene che cosa aveva realmente fatto, limitandosi a chiamarla armolodia. Fatto sta che per natura Coleman fu molto naif, e avrebbe potuto guadagnare soldi, diventare molto più famoso e iconico di quello che è stato: eppure la sua quarantennale carriera ha regalato dischi di jazz elettrico, decine di grandi collaborazioni (da ricordare quella con il chitarrista dei Grateful Dead Jerry Garcia verso la fine degli anni ‘80), la colonna sonora del film di Cronenberg Il Pasto Nudo e altre chicche. Rimane il fatto che o si ama oppure vale quello che disse di questo disco Roy Eldridge, leggendario trombettista soprannominato Little Jazz: “L'ho ascoltato in tutte le maniere.
L'ho ascoltato mentre ero ubriaco e quando ero completamente sobrio. Ho persino suonato con lui. Penso che ci stia solo prendendo in giro tutti”. Rimane uno dei dischi più leggendari della musica del ‘900, da qualsiasi punto lo si voglia analizzare.
Commenti
Posta un commento