Lucy Rose - This Ain't The Way You Go Out (2024)

 di Vassilios Karagiannis

Non ha avuto tregua, Lucy Rose. Il tempo di archiviare il fosco capitolo riassunto in "No Words Left" che la cantautrice inglese ha dovuto affrontare una rara forma di osteoporosi legata alla gravidanza del suo primo figlio, Otis. Otto vertebre rotte, lo spettro della paralisi, le difficoltà della riabilitazione, il lungo cammino verso la completa ripresa. Perché non poteva essere questa la fine, l'indesiderata chiusura del sipario. È più che sensato che quindi voglia ricordarlo con forza sin dal titolo del suo quinto album, che è ancora qui, pienamente desiderosa di vivere, per quanto mai dimentica delle sue traversie. Quale migliore occasione per annullare le vertigini di tristezza del precedente album e sfoderare quindi un'inedita grinta pianistica, tanto informata dal jazz quanto dal soul più scattante e stradaiolo? Con "This Ain't The Way You Go Out" Rose infonde un nuovo calore nella sua musica, emana una gioia temprata dalle avversità: una vittoria personale da diffondere come un monito di speranza.

Pianoforte, si diceva: più facile da suonare, più semplice da adottare nel mentre di una faticosa riabilitazione, diventa per la prima volta il protagonista indiscusso delle composizioni di Rose, il centro nevralgico di pezzi che esaltano una curiosità timbrica e un gusto ritmico mai così dinamico. Indubbiamente il contributo di Kwes (sue produzioni per Tirzah, Loyle Carner e Solange) ha aiutato a donare un'energia diversa all'intero disco, che si riflette nella libertà di una scaletta capace di esprimersi a pieno titolo con l'r&b (l'invitante apertura "Light As Grass", gioco di sterzi e deviazioni melodiche dal lieve carattere psichedelico) e l'universo hip-hop (i ringraziamenti alla vita di "The Racket", ammantati perfino di una coltre noisy e di costanti sospensioni ritmiche in coda), di lasciar confluire la rabbia e la gratitudine in canzoni in cui dall'acuta grazia sophisti.

Giustamente scelta come singolo, "Could You Help Me" rivolge una forbita invettiva ai medici che hanno sottovalutato la sua condizione, la flessuosità dei tasti a individuare un elegante tocco jazzy, abile nel ricoprirsi di furiosi scatti di violino (opportunamente distorto) che solo complimentano la docile critica del testo. Se "Life's Too Short" punta sul brio di una melodia dai profumi northern soul, fa ben presto a dichiarare la sua natura tragica, il disinteresse e l'allontanamento di amici e conoscenze incapaci di comprendere appieno la severità della situazione.

Si fatica, comunque, a ritenere l'album un disco votato all'autocompiacimento: basterebbe soltanto il secondo interludio con il vivace vociare di Otis a catapultare verso il futuro l'intero progetto, in generale si respira una tempra che non dimentica mai da dove è sorta, ma che si pone obiettivi diversi, che ha lottato per scrivere le prime parole di una nuova pagina. Con nuovi passi, con un nuovo equilibrio, con altre vibrazioni: non voleva andarsene così, Lucy Rose, e adesso che quelle piccole grandi cose sono tornate a essere normali, la celebrazione non potrebbe essere più vistosa. Bentornata alla vita, Lucy, che questo sia il primo assaggio di un nuovo, gustoso capitolo!

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