Manic Street Preachers - Everything Must Go (1996)

La storia di oggi nasce nel 1986 per un anniversario: i 10 anni dalla formazione dei Sex Pistols. Un gruppo di ragazzi di Blackwood, nel Galles, decide di formare una band nel ricordo delle gesta degli irriverenti paladini del punk. Si chiamano all’inizio Betty Blue, che non è propriamente un nome che fa pensare al punk, ma quando durante un pomeriggio da busker a Cardiff di James Dean Bradfield, leader, cantante e chitarrista, un tizio sentendolo suonare gli chiede: “What are you, boyo, some kind of manic street preacher?” decidono di cambiarlo. Nascono così i Manic Street Preachers, un gruppo che ha ormai oltre trenta anni di vita musicale e che ha una parabola pressoché unica nel panorama britpop, movimento che sinteticamente sto raccontando in queste domeniche maggiaiole. Quando nel 1988 pubblicano il primo singolo, autoproducendolo, Suicide Alley, sono un terzetto composto da Bradfield, Sean Moore alla batteria e Nicki Wire al basso e anche seconda voce. C’è però un quarto componente “occulto” che in un primo momento era l’organizzatore delle trasferte e autista ufficiale, Richey Edwards, che contribuisce dapprima ai testi per poi scoprirsi talentuoso chitarrista, tanto che dà una svolta decisiva alla band: dapprima con White Riot, che riporta sulla scena musicale inglese la “rivolta” dopo gli anni dei Clash e connota, come inizieranno a scrivere le riviste musicali, i MSP come leftist (aggettivo che anzi riempie di orgoglio i nostri, non ne faranno mai problemi delle loro idee politiche e nel 2001 suoneranno al Teatro Karl Marx di L’Avana con Fidel Castro nel pubblico). Ma la svolta è anche estetica e situazionista: durante un concerto Edwards si scrive sul petto “4 Real” con una lametta per dimostrare la totale credibilità del gruppo agli ideali. Nel 1992 il primo album, Generation Terrorists, arriva addirittura nella Top 20, e la band per mesi lo annuncia come il loro “prima e unico album”. In verità è l’ennesima trovata di Edwards, e ha già canzoni notevolissime come Slash ‘n’ Burns e la magnifica Motorcycle Emptiness (che va segnalata anche per l’orgoglio del loro accento gallese, evidentissimo nel modo in cui Bradfield pronuncia “motorcycle”). Di fatto la band non si scioglie e bissa il successo con Gold Against The Soul, che addirittura arriva alla posizione numero 8. Ma il successo coincide con un periodo nerissimo per la band: prima muore il manager e amico d’infanzia Philip Hall, poi Edwards va in depressione, soffre di anoressia e di alcolismo. Nel modo più tragico, alla vigilia del primo tour americano a sostegno di The Holy Bible (1994), nel febbraio del 1995 Richey Edwards scompare, senza lasciare nessuna traccia, nel vero senso della parola perchè ancora oggi la sua vicenda è in parte irrisolta, sebbene la Polizia Inglese lo abbia ritenuto “presunto morto” nel 2008. La band in un primo momento decide di fermarsi, ma è soprattutto Nicki Wire a spronare gli altri a continuare: in lunghe registrazioni per tutto il 1995 e primi mesi del 1996, ne tirano fuori un disco che si distacca molto dal suono “tipico” dei Manics (così chiamati dai sempre più numerosi fan) e che li fa diventare portabandiera del britpop. Everything Must Go (1996) sembra già dal titolo un invito a passare oltre, e lo fa regalando un suono scintillante, arioso e fresco sebbene metà dei testi delle canzoni siano opera di Edwards. Il disco è costruito sul loro sguardo critico sulla società contemporanea: lo scimmiottare gli Stati Uniti in Elvis Impersonator: Blackpool Pier (che inizia così: American trilogy in Lancashire pottery\Is so fucking funny, don't you know) o nella fortissima Enola\Alone (che secondo Wire si ispira addirittura a Camera Lucida di Barthes); Small Black Flowers That Grow In The Sky racconta dei maltrattamenti di animali in cattività, The Girl Who Wanted To Be God, scritta da Edwards, prende il titolo da una composizione di Sylvia Plath, che probabilmente Edwards sentiva molto affine al momento. Interiors è dedicata a Willem de Kooning, il grande pittore astrattista, che soffriva di Alzheimer, Kevin Carter alla vita dell’omonimo famoso fotografo che documentò le carestie africane degli anni ‘80 e ‘90 (vinse il premio Pulitzer per la fotografia con lo scatto, drammatico, di una bambina scheletrica inseguita da un avvoltoio durante una carestia nel Sudan). Due singoli, la stupenda A Design For Life e Everything Must Go vanno in classifica, così come l’album, che debutta direttamente al numero due e più volte durante il 1996 va in vetta alla classifica. Nel 1997 vince i due premi più prestigiosi ai Brit Awards, album dell’anno e band dell’anno, e nel 1996 il New Musical Express lo nomina disco dell’anno; ancora oggi considerato un classico della musica britannica, tanto che è stabilmente in tutte le classifiche dei migliori dischi inglesi di sempre. Il successo viene bissato due anni dopo da This Is My Truth Tell Me Yours, trascinato dal singolo If You Tolerate This Your Children Will Be Next, i cui primi versi dicono “The future teaches you to be alone\The present to be afraid and cold\"So if I can shoot rabbits then I can shoot fascists". La band con alti e bassi continua ancora oggi ad avere un certo seguito, con picchi di popolarità come quando nel 2007 con Nina Persson dei Cardigans ottenne successo internazionale con Your Love Alone Is Not Enough. Un disco da riscoprire e una band da riascoltare.

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