Herbie Hancock - Maiden Voyage (1965)
Le storie di Novembre avranno un carattere celebrativo, poiché questa piccola mia rubrica sorpasserà a fine mese il traguardo dei 250 dischi (!!!). Come qualcuno immagina, il traguardo verrà festeggiato con un disco di Miles Davis, per caso numero #1 e numero #50, poi scelto appositamente per i traguardi dei #100, #150 e #200. Stavolta però mi è venuta l’idea di esplorare a fondo i protagonisti del suo secondo leggendario quintetto. Tutto inizia nel 1963, quando la sezione ritmica del primo, inimitabile quintetto, Paul Chambers, Winton Kelly e Jimmy Cobb, abbandonano il gruppo. Davis, che nel 1963 ha 37 anni, sceglie un gruppo di giovani di talento, che diventeranno la nuova sensazione del jazz, in un periodo complicato per quel genere musicale, gli anni ‘60. Chiama subito Ron Carter, al basso, che diventerà grazie al successo del quintetto il sessionman più cercato della storia, con oltre 2 mila registrazioni ufficiali certificate, un sassofonista, George Coleman, e due giovani, uno diciasettenne alla batteria, Tony Williams e un pianista di venti, Herbie Hancock. In pochi mesi pubblicano Seven Step To Heaven (1963) e diversi live (usciti poi negli anni successivi, Miles Davis In Europe,1964, My Funny Valentine,1965, Four & More,1966). Coleman se ne va per una mai trovata alchimia, viene sostituito brevemente da Sam Rivers fin quando Davis, fulminato dalla sua tecnica e dalle fenomenali capacità di composizione, farà la corte e chiederà a Wayne Shorter di entrare nel quintetto, lasciando i Jazz Messenger di Art Blakey. Dal 1965, con E.S.P., fino al 1968, il quintetto scriverà delle pagine fondamentali, e spettacolari, del particolare momento del jazz, stretto tra le ultime idee dell’hard bop e le nuove “regole” della New Thing, il Free Jazz di Ornette Coleman: Davis si mantenne in equilibrio tra le due, ma la cosa davvero interessante è che i suoi musicisti, aiutandosi, scriveranno negli stessi anni diversi capolavori. Uno di questi è il disco di oggi, pubblicato nel 1965 dalla leggendaria casa editrice Blue Note (che prende il nome dalle caratteristiche blue note del jazz e del blues, corrispondenti al IV grado innalzato, la quarta eccedente, della scala minore melodica). Maiden Voyage è il viaggio inaugurale di una imbarcazione, e un venticinquenne Herbie Hancock scrive un disco con questo titolo per un raro concept album jazz sui temi marini. Con lui, la formidabile squadra che in quei tempi faceva sa gruppo a Davis: Coleman al sassofono, Ron Carter al contrabasso, Tony Williams alla batteria e la tromba di un altro amico di Davis, il grande Freddie Hubbard. Registrato con il grande produttore e ingegnere del suono Rudy Van Gelder, un signore che avrà messo mano alle registrazioni di migliaia di pezzi e di dischi leggendari, il disco diventerà un tesoro da cui prendere le meraviglie che suona Hancock, e cosa davvero rara per un disco jazz anni ‘60, molti di questi brani diventeranno cosiddetti standard, cioè unanimemente considerati classici e ripresi da centinaia di artisti. Spinto dalle alchimie davisiane verso la musica modale, Hancock la interpreta in maniera sorprendente ed efficace, superbe vetrine per gli assoli, le trame tonali e le armonie provocatorie e imprevedibili del gruppo. In scaletta 5 pezzi, 4 a tema marino, uno una sorta di esperimento che diventerà centrale per il quintetto di Davis. Tra i brani acquatici, eccezionali per eleganza e bellezza sono Maiden Voyage, incredibilmente dolce e sensuale, The Eye Of The Hurricane, delicatamente movimentata, la spumeggiante Dolphin Dance, che si ispira ad un brano di una delle fonti privilegiate del grande pianista, Shiny Stockings di Count Basie, e la simpatica Survival Of The Fittest. Rimane il brano “diverso”, Little One: sebbene pensata da Hancock, come riportano le note della versione cd del disco che posseggo, addirittura verso la fine degli anni ‘50 dall’allora giovanissimo maestro pianista, fu uno dei primi contributi di Hancock al quintetto di Davis, e appare prima su E.S.P. e poi su questo disco, sebbene le due registrazioni abbiano due settimane di differenza: in quella di Davis, il brano è più lento e “embrionale” e sboccia del tutto nella versione di Maiden Voyage, divenendo la versione definitiva. Maiden Voyage è unanimemente considerato uno dei grandi capolavori del jazz, con le composizioni presenti nella seconda versione del New Real Book di Hal Leonard, che raccoglie le partiture fondamentali per gli studenti jazz, e nella Bibbia della Penguin Guide Of Jazz rientra nella Core Collection, i dischi con la corona, fondamentali del jazz.
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