Storia della musica #52

 Riot grrrls, corporate punk e garage punk 

Gli anni ’90 saranno ricordati dai posteri principalmente per l’inaspettato successo di massa del punk nelle classifiche americane: tuttavia ad aprire il decennio è un fenomeno più underground legato all’area di Olympia e ad un’etichetta come la Kill Rock Stars, per cui nel 1992 esce EP senza titolo prodotto da Ian Mac Kaye e firmato dalle Bikini Kill. È uno dei primi dischi a lanciare il movimento femminista delle ragazze riottose (le riot grrrrls): il gruppo musicalmente fonde il punk-rock più grezzo delle Slits con la new wave dei Pretenders e di lì a poco rilancia con “Yeah Yeah Yeah Yeah”, split album equamente diviso con le albioniche Huggy bear, altre esponenti di spicco del movimento di cui fanno parte anche Bratmobile, 7 Year Bitch, mentre più marginalmente legate al fenomeno sono L7 e Babes in Toyland, musicalmente più vicine al metal ed al grunge che non al punk; tutti gruppi comunque accomunati dalla centralità nei testi di temi scottanti e strettamente legati alla sfera femminile quali lo stupro, la violenza domestica, la disparità sociale tra maschio e femmina.

Se il filone si rivela di breve durata, esso è segnato in ogni caso da ottimi dischi come “Spanking Machine” delle Babies In Toyland, “Bricks Are Heavy” delle L7 e “Pussy Whiped” delle Bikini Kill e dalle ceneri del movimento si generano frutti molto interessanti: da una parte le vere eredi del movimento si rivelano essere le Sleater Kinney, gruppo di Olympia nato dallo scioglimento di due gruppi già parte della scena post-femminista come Heavens to  Betsy ed Excuse 17, all’esordio omonimo nel 1995 e dietro a dischi strepitosi come “Dig Me Out” (1997) e “One Beat” (2002); dall’altra l’ex leader delle Bikini Kill Kathleen Hanna, dopo lo scioglimento del gruppo nel 1998 ed un album uscito lo stesso anno sotto lo pseudonimo Julie Ruin, esordisce nel 1999 col trio Le Tigre, affidandosi ad una sorta di disco-punk di stampo new wave per lanciare i suoi slogan, aprendo la strada a gruppi dal femminismo beffardo come Chicks on Speed e Peaches, come si vedrà più avanti.

Ora è meglio tornare alla metà degli anni’90, in particolare al 1994: anno che è normalmente ricordato nelle cronache rock per la morte di Cobain, evento che segna simbolicamente la fine dell’era d’oro di Seattle. Tuttavia il 1994 è anche l’anno in cui, per la prima volta dalla sua nascita il punk raggiunge la vetta delle classifiche americane: le ragioni di questa svolta vanno in parte ricercate nel generale scossone dato proprio dal grunge al gusto medio del pubblico, ma sono comunque legate anche all’irresistibile vena pop dei due dischi che di questo piccolo evento sono protagonisti, vale a dire “Smash” degli Offspring e “Dookie” dei Green Day. Dischi peraltro legati ad etichette e a scene musicali radicalmente diverse…

Gli Offspring escono per la Epitaph di Brett Gurewitz dei Bad Religion e portano avanti la storica tradizione californiana dell’hardcore melodico, risalente ai primi anni ’80: con il singolo “Come Out And Play”, pezzo che deve la sua fortuna anche ad una certa assonanza col suono dei Nirvana, raggiungono un’esposizione che fino a qualche anno prima sarebbe stata impensabile per un gruppo punk, facendo poi il bis con “Self Esteem” e arrivando infine in cima alle classifiche di vendita con “Smash”, cosa che frutta una piccola fortuna all’indipendente Epitaph. Etichetta ed influenze sono diverse per i Green Day, gruppo cresciuto sotto l’egida della Lookout Records!, la cui esplosione commerciale corona una formula di pop-punk che prosegue la più storica delle tradizioni punk, quella cominciata con i Ramones nel 1976, proseguita con Buzzcocks, Undertones e Stiff Little Fingers e portata brillantemente avanti a Berkeley durante gli anni ’80 da gruppi come Mt.T Experience e Screeching Weasel: una tradizione che trova nei Green Day eredi più che degni e “Dookie”, disco dell’esplosione commerciale, li vede in particolare stato di grazia.

Offspring e Green Day non sono comunque gli unici gruppi punk ad emergere a sorpresa dall’underground: un anno dopo è la volta dei Rancid di “And Out Come The Wolves” (1995), con un suono che è una sorta d’incrocio tra Clash e Specials, lungo una traiettoria sonora già inaugurata dal vecchio gruppo di Tim Armstrong e Matt Freeman: gli Operation Ivy.

Il successo del gruppo, tra l’altro, fa esplodere a livello commerciale il fenomeno dello ska-core, terza ondata di revival dello ska, inaugurata nel 1990 dai Mighty Mighty Bosstones di “Devils Night Out”, per assurdo l’unico gruppo che non riesce a beneficiare del boom de genere, e dai già citati Operation Ivy: sull’onda del successo dei Rancid emergono poi altri gruppi, come No Doubt, Goldfinger e Dancehall Crashers e Sublime, mentre le contaminazioni con lo ska diventano un luogo comune di molto hardcore melodico, da quello dei Nofx a quello dei Less Than Jake. Particolarmente meticci si rivelano Sublime e No Doubt: i primi trovano l’equilibrio ideale nell’omonimo disco postumo del 1996 in cui brilla un crossover totale di reggae, hip hop, ska e hardcore che li eleva, anche grazie al talento del cantante Brad Nowell, un gradino sopra gli altri; i No Doubt invece, baciati nel 1995 dal successo commerciale di “Tragic Kingdom”, sono fin dall’inizio autori di uno ska fortemente influenzato dalla new wave più melodica, tendenza sempre più evidente anche nei dischi successivi.

Se Green Day, Offspring e Rancid rappresentano i gruppi di maggior successo commerciale dell’esplosione punk di meta anni ’90 altri gruppi storici attivi da anni come Bad  Religion, Pennywise, Down By Law e Nofx vedono in ogni modo il loro seguito crescere drasticamente: i Nofx, in particolare, proprio nel 1994 arrivano al capolavoro con “Punk In Drublic”, declinando il loro hardcore in tutte le salse, citando oi! e ska-core e viaggiando allegramente tra hardcore melodico e pop-punk. Fat Mike, cantante e bassista del gruppo, di lì a poco fonderà la seminale Fat Wreck Chords, label che ospiterà alcuni dei migliori gruppi di hardcore melodico degli anni ’90, come No Use For A Name e Lagwagon.

Gruppi che escono allo scoperto in una fase in cui il punk ha già cessato d’essere fenomeno da alta classifica: il boom dura, infatti, solo due anni e quando i Green Day danno un seguito a “Dookie” con “Insomniac” l’accoglienza del pubblico si è già raffreddata. Tuttavia quei suoni sono ormai entrati nelle ossa (e nelle orecchie) del pubblico americano: se da una parte l’hardcore si è ormai conquistato un suo posto di nicchia nel mercato discografico non mancheranno, in futuro, incursioni di gruppi punk dalle parti alte della classifica, dal punk-pop calligrafico di Blink 182 e Sum 41 al piccolo exploit dei Green Day nel 2004; inoltre l’apertura del grande pubblico verso quei suoni si rivelerà determinante per il successo universale di un genere come l’emocore, naturalmente predestinato ad entrare nelle grazie dei fan dell’hardcore melodico.

Si terranno invece sempre saldamente lontani dalle classifiche i New Bomb Turks, gruppo che porta avanti quella tradizione garage punk che discende direttamente dagli Stooges: dove i Mudhoney fondono garage ed hard rock, il gruppo di “Destroy Oh-Boy“ (1993) e del capolavoro del 1998 “At Rope’s End“ porta avanti quel discorso in ambito hardcore. Non saranno comunque i soli a traghettare il suono del garage-rock e di Detroit attraverso i ’90: da una parte gruppi come Supersuckers ed Humpers fanno rivivere il genere attraverso la tradizione più punk, dall’altra Mono Men, Oblivians e Makers fanno rivivere la leggenda del primo  rock’n’roll e del garage-rock anni’60, quello di Sonics e Wailers,con, alle spalle, etichette underground dedite a quei suoni come Estrus e Sympathy For The Records.

Non meno seminale si rivelerà la Crypt che nei primi ’90 pubblica “Outta Here” dei Gories (1992) e la In The Red, per conto della quale nel 1998 esce “Horndog Fest” dei Dirtbombs: entrambi i gruppi fanno capo alla seminale figura di Mick Collins vero centro gravitazionale di una scena di Detroit viva e scalciante, da cui s’innescherà, all’inizio del decennio successivo, un’esplosione su scala nazionale inaspettata di garage e blues che ricorda molto da vicino quella vissuta dall’hardcore nei ’90. Se ne riparlerà più avanti…

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