Swans - The Beggar (2023)


di Matteo Baldi

Si tratta del sedicesimo album in studio per gli Swans, leggendaria band newyorkese dedita allo sperimentalismo più estremo ormai da più di tre decadi. Il mastermind Michael Gira è una personalità più unica che rara nel mondo della musica, a metà tra uno stregone e un musicista, è la sublimazione dell’artista come mezzo, come tramite, un semplice filtro di passaggio tra muse eterne e onniscienti ed il nostro mondo temporaneo e contingente. Gira ci ha sempre abituato a viaggi interdimensionali che toccano aspetti dell’esistenza e della non esistenza, dell’origine della vita e dello spirito che anima il mondo, dei flussi di pura ispirazione cosmica da una realtà più alta che si traducono in suoni, parole, armonie e prendono vita negli pezzi degli Swans. In questo “The Beggar” troviamo l’ennesima dimostrazione del valore di questo progetto, una prova maestosa, solenne, completa di tutto quello che la band ha da offrire su ogni piano.

In una recente intervista Gira ha affermato che i brani degli Swans nascono sempre da un dialogo tra sé stesso e la propria chitarra acustica, attraverso la ripetizione infinita di un accordo o di un giro di accordi, e dalla capacità dell’artista di percepire altro rispetto all’effimero insieme di note prodotte dallo strumento. Si ricerca qualcosa di nascosto, che non è subito chiaro e percepibile ma che è comunque molto presente e fondamentale per l’esistenza stessa di quell’accordo. Dopo questo esercizio di consapevolezza e di meditazione arrivano le parole, ora a flusso ora centellinate, anch’esse suggerite dall’atmosfera che una semplice chitarra acustica può creare in una stanza e dai suoi sussurri tra le vibrazioni del legno e i colpi del plettro sulle corde. Mi chiedo quindi: ha senso parlare di genere musicale? Per me no, ha senso però parlare di arte, infatti questa è proprio la descrizione di un processo artistico, e peraltro uno dei più puri e nobili, quello che mette in secondo piano la persona del musicista per dare voce ad entità altre.

Non è solo un processo individuale quello che ha dato vista a questa splendida prova degli Swans, l’aspetto fondamentale è sicuramente la collaborazione di Gira con gli altri musicisti che fanno parte del progetto. Tra gli artisti che hanno collaborato a questo disco troviamo Larry Mullins, ex membro degli Stooges e di Nick Cave and the Bad Seeds, Kristof Hahn, collaboratore della band di lunga data e maestro della lap steel guitar, infine va citato il contributo di Ben Frost che ha aggiunto layer di synth e chitarra elettrica. Gira dice che le canzoni che lui porta in sala prove possono subire anche profonde modifiche e diventare qualcosa di diverso da quello che lui pensava, ma in realtà è proprio questo il valore aggiunto di una band come gli Swans, e cioè la collaborazione di menti artistiche diverse che si uniscono con un obiettivo comune, ciascuno offre la propria conoscenza e professionalità e partendo da pochi semplici accordi ripetuti possono nascere questi mostri di armonia e misticismo che popolano la tracklist di “The Beggar”. Siamo di fronte ad un disco di una band che non ha bisogno di dimostrare niente, è solamente la conseguenza matematica dell’essenza delle persone che la compongono. Michael Gira non può smettere di scrivere musica, è intrinseca nella sua natura la ricerca continua di espressione e tutti gli altri musicisti in un certo senso si accodano al sentiero tracciato dal musicista newyorkese, aiutandolo, arricchendolo e costruendo di fatto gli Swans.

Ascoltare “The Beggar” è un’esperienza assimilabile alla visita ad un antico tempio dedicato al culto di una divinità dimenticata, Gira è il sommo sacerdote, i suoi druidi reggono gli strumenti sacri e praticano gli antichi rituali, la musica suggerisce atmosfere avvolgenti e solenni, le ripetizioni degli accordi ipnotizzano e allineano le frequenze dell’anima. D’un tratto anche l’ascoltatore si rende conto di essere parte attiva di questo rituale, vestito di una tunica di lino adornata con pesanti catene di metallo, si ritrova in una profonda contemplazione al cospetto del volto della divinità che, al di sopra un elaborato altare decorato con pietre preziose e complicati intarsi, si staglia su un cielo blu scuro notturno circondata di fiamme multicolori e di una leggera nebbia umida e calda.

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