Mastodon - Crack The Skye (2009)
La storia di Musica di oggi, che segue il filo rosso di band che prendono il nome dal animali preistorici, arriva ad Atlanta, dove agli inizi del 2000 dei musicisti, alcuni con precedenti esperienze musicali, formano un gruppo a cui danno il nome di un proboscidato primitivo, da non confondere con il mammuth, che avevano i molari di forma arrotondata che, visti di profilo, ricordano la forma del seno femminile: da qui il nome “dente mammella”, Mastodon. La musica che scelgono si posiziona al limite di quella che ascolto io, e la loro conoscenza avvenne perchè una persona che frequentavo mi regalò un loro disco del 2004, Leviathan: la meravigliosa copertina che ritrae un gigantesco capodoglio bianco che sperona una nave suggerisce che il disco scritto e suonato da Troy Sanders (basso e voce), Brent Hinds (chitarra solista e voce), Bill Kelliher (chitarra ritmica) e Brann Dailor (batteria, spettacolare musicista) sia un concept ispirato a Moby Dick di Melville suonato con la violenza, la potenza e la death growl (tecnica vocale ottenuta tramite l'utilizzo del diaframma), con canzoni (penso a Blood And Thunder, la devastante Island, Iron Tusk) che vengono considerate dai fan dei generi heavy metal autentici capolavori; personalmente, pur apprezzando le indubbie e individuabili meravigliose tecniche strumentali, addirittura spaziando a lirismi acustici (la strumentale Joseph Merrick) rimango un pochino scioccato dal loro sludge metal (definizione che per molti puristi non li appartiene): una musica “sporca”, rabbiosa e urlata (sludge definisce lo scarto derivate dal trattamento dei liquidi fognari, o comunque di liquidi di lavorazione, e nasce a New Orleans con i Melvins e i Black Flag a fine anni ‘80). Leviathan viene eletto disco dell’anno da ben 3 riviste diverse e vende tantissimo per un disco del genere. Tanto che la Warner Bros li mette sotto contratto. E come vuole il clichè di ogni situazione musicale del genere, buona parte dei fan li accusa di essersi venduti. I nostri invece pubblicano Call Of Mastodon nel 2006, rielaborando e risuonando pezzi del loro repertorio precedente e nello stesso anno Blood Mountain: se Leviathan è il disco delle profondità (marine e dello spirito di Achab), qui si sale sulle vette per scalare una montagna, metafora della lotta di quando si è soli e impauriti. Impreziosito da camei di Josh Homme dei Queens Of The Stone Age in Colony Of Birchmen e Isaiah “Ikey” Owens e Cedric Bixler-Zavala dei Mars Volta, è un successo di vendita e critica. Passano ben tre anni per il lavoro successivo. Questa volta, in una sorta di percorso di scoperta elementare, dopo acqua e terra è l’etere il protagonista del disco, legato alla figura mistica e suggestiva di Rasputin e del suo rapporto con gli ultimi Zar. Chiamano in produzione Brendan O’Brien, mitico produttore di Pearl Jam (un titolo su tutti, il leggendario Ten), Soundgarden (Superunknown), Stone Temple Pilots, Rage Against The Machine, il capolavoro di Springsteen che fu The Rising del 2002. Scelgono di usare strumentazione musicale, soprattutto chitarre e amplificatori, degli anni ‘70, per regalare un certo suono vintage al tutto. Nel 2009 Crack The Skye viene dato alle stampe: per alcuni è il disco di mestiere, per molti altri, tra cui chi vi scrive, è un grande disco di maturità, dove la potenza selvaggia dei primi tempi è sviluppata in musica che si rifà a certe idee del progressive, a ritmiche jazz, ad un uso interessante delle voci. Pur rispettando chi vuole indicare per forza un genere di riferimento, è complicato farlo con Divinations: parte addirittura con un banjo, per scatenarsi in furoreggianti riff. Le tracce sono 7, per quasi un ora di musica: dall’inizio marziale e solenne di Oblivion, la meravigliosa Quintessence, una suite in 4 parti, senza soluzioni di continuità, The Czar (I. Usurper,, II. Escape , III. Martyr, IV. Spiral) che davvero suona come se i King Crimson, riconosciuti come ispiratori per questo disco dalla band, avessero suonato il prog dopo avendo iniziato a suonare negli anni ‘90. Poi Ghost Of Karelia (la Carelia è una particolare regione del Nord della Russia famosa per i suoi miti ancestrali) e Crack The Skye (con la voce ospite dell’amico Scott Kelly dei Neurosis) si legano alle sonorità primigenie, che vengono nuovamente scompaginate nei 13 spettacolari minuti di The Last Baron, un finale pirotecnico. Nella versione che ho io (e che mi pare sia anche quella disponibile su Spotify) c’è tutto il disco solo strumentale (The Score version): si apprezzano ancora meglio i passaggi strumentali, soprattutto la batteria portentosa di Dailor, e il disco ha un senso meraviglioso anche così. Crack The Skye diviene il loro disco più venduto e riceverà numerosi premi, simboleggiando un salto di livello sonoro niente male e niente affatto scontato di una delle band più interessanti del panorama del metallo pesante mondiale. Alla faccia dei soliti esegeti incontentabili, e della sciocca ripresa del “commerciale”, categoria post-moderna tra le più inutili. ma questo è un altro discorso.
The Last Baron finisce così, nel turbine musicale:
Please, please take my hand,
please take my soul to rest
So we can always be around
The Last Baron finisce così, nel turbine musicale:
Please, please take my hand,
please take my soul to rest
So we can always be around
Faltering footsteps, dead end path
All that I need is this wise man’s staff
Encased in crystal, he leads the way
I guess they’d say we could set the world ablaze
Encased in crystal, he leads the way
I guess they’d say we could set the world ablaze
Commenti
Posta un commento