Tinariwen - Amatssou (2023)

 di Fabio Ferrara

Lo spirito indomito con cui i Tinariwen hanno affrontato le vicissitudini del popolo Tuareg rivendicandone le istanze ha trasformato il collettivo musicale formatosi sulle sabbie del deserto in qualcosa di più di una semplice rock band. Le loro canzoni che inneggiano alla liberta, alla lotta e ai diritti civili sono diventate un formidabile megafono per le aspirazioni di una regione che solitamente si trova suo malgrado ai margini dell'attenzione mediatica occidentale.

Il gruppo capitanato da Ibrahim Ag Alhabib non ha indietreggiato neanche negli ultimi anni, nonostante le continue minacce dei fondamentalisti islamici che si oppongono alla musica e a tutte le forme di espressione artistica. Il titolo del loro nuovo album, "Amatssou", è un invito in lingua tamashek ad andare avanti "oltre la paura".

Per realizzarlo, i Tinariwen si sono avvalsi come di consueto di illustri collaborazioni. Il chitarrista degli Imarhan Hicham Bouhasse è praticamente un membro aggiunto in questo lavoro; Fats Kaplin, con cui avevano collaborato ai tempi di Emmaar, li affianca in molte tracce. A loro si aggiunge l'esperto produttore e musicista canadese Daniel Lanois che aveva indipendentemente remixato una traccia dello stesso album. Spetta, invece, al talentuosissimo suonatore di banjo Wes Corbett affiancare il gruppo africano nel vivace brano di apertura "Kek Alghalm". I contributi del musicista americano, perfettamente integrati alle onnipresenti chitarre, sono stati aggiunti in fase di post-produzione. Nei piani iniziali, infatti, il disco sarebbe dovuto essere registrato a Nashville nello studio di Jack White. A causa delle limitazioni pandemiche i Tinariwen si sono dovuti arrangiare in una tenda nel deserto algerino e hanno poi condiviso il materiale prodotto con gli altri artisti coinvolti.

Per musicalità le tracce di "Amatssou" suonano esattamente come ci si aspetterebbe in un disco dei Tinariwen: strati di chitarre sovrapposte, canti che si mescolano, assoli di chitarra che si estendono oltre l'orizzonte. L'incontro con il country americano non snatura la loro musica ma la esalta. Il violino movimentato di Kaplin in "Tenere Den" sostiene la parte melodica e lancia verso l'infinito le voci che parlano di rivoluzione. Il contributo del polistrumentista americano è sempre così ben integrato da far sembrare il banjo in "Anemouhagh" uno strumento della tradizione tamashek. I contributi di Lanois sono più audaci. Che si tratti di aggiungere originali effetti di pedal steel in "Arajghiyne" o di imprimere un senso di disagio nella ieratica "Jayche Atarak", il leggendario produttore nordamericano (U2, Brian Eno, Peter Gabriel) suggerisce nuove direzioni ai sinuosi ondeggiamenti delle sei corde africane.

Non mancano neanche dei numeri nel solco della tradizione assouf. Fra di essi, il pezzo più rilevante è "Tidjit", innestato da una chitarra blues e da battiti di mani ritmati che si risolvono in rapide percussioni accompagnate dall'immancabile convoglio di chitarre.

Nella maggior parte dei brani, a prevalere è una sensazione di dolcezza che viene espressa attraverso il piacevole sovrapposrsi fra gli strumenti e mediante cambi di tempo sempre ragionati e graduali. Focalizzando l'attenzione sulle liriche, si troverebbe espressa molta rabbia nei Tinariwen. Il gruppo denuncia instancabilmente i soprusi che il suo popolo è costretto a subire, attacca coloro che lo hanno tradito e inneggia all'unione fra i Tuareg.

I sentimenti negativi sono però stemperati attraverso la forza propulsiva del collettivo che, nonostante la paura derivata dalle minacce esterne, si ritrova ancora unito. Alla fine dell'album li troviamo insieme ancora una volta in "Tinde", mentre lasciano intonare un canto suggestivo a una donna. Solo le percussioni la accompagnano, mentre gli altri rimangono silenziosi. Il brano che, per la sua semplicità, potrebbe essere stato eseguito allo stesso modo anche secoli fa in un accampamento davanti a un fuoco acceso, mostra quanto la musica sia importante per i Tuareg a livello culturale e sociale. Tutto questo, malgrado la paura, i Tinariwen lo difendono strenuamente.

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