Cowboy Junkies - Such Ferocious Beauty (2023)

di Laura Bianchi

Ecco di nuovo, dopo cinque anni, un disco di nuove canzoni dei Cowboy Junkies, ossia i fratelli Timmins (Margo, Michael e Peter) accompagnati dal bassista Alan Anton, a dimostrare, se mai ce ne fosse bisogno, che sono tornati per restare. A dire il vero, nel 2020 c'era stata una sorta di EP, Ghosts, uscito solo in digitale, in cui veniva affrontato il lutto per la perdita della madre. La demenza senile del padre, invece, ha segnato questo Such Ferocious Beauty, ricco di echi nostalgici, come in What I Lost, il brano che significativamente apre il disco e che immagina gli stati d'animo sia del genitore, che lentamente scivola nell'oblio, sia dei figli, che restano orfani di lui prima del tempo.

Per certi versi, i Cowboy Junkies sono rimasti la stessa band che conosciamo da quasi quarant'anni. La voce di Margo Timmins è il marchio di fabbrica delle atmosfere del gruppo, mentre la scrittura e il tocco chitarristico di Michael Timmins sono sinceri, a volte duri, però sempre immediati e comunicativi e schietti. Il batterista Peter Timmins e il bassista Alan Anton sono sempre più bravi, nel condurre l'ascolto verso una rotta precisa, definita e cangiante, come un percorso con curve che rivelano nuovi scenari. 

Le canzoni sono state registrate durante gli anni della pandemia, e riflettono quel clima, insieme al conflitto sociopolitico, diffusosi non solo in Canada. Michael Timmins ha quindi cercato, nella composizione dei brani, di affrontare quel periodo, con polso fermo e con la solita vena ispirata. Ne emergono canzoni che si potrebbero ascoltare a due a due, come il tema che stringe la già citata traccia di apertura e la successiva Shadows 2, mentre Flood e Knives presentano considerazioni sulla violenza, nel secondo caso, creata dall'uomo e sottolineata da una sonorità funkeggiante, con il violino di James McKie - presente in vari punti del disco - che dialoga con basso e batteria. 

Lo stesso discorso si potrebbe fare per Hard to Build. Easy to Break e Throw a Match, densi di riflessioni filosofiche su speranza e rinascita, su capacità di scelta ed esistenza, con versi come       “ Witness like a mountain/Absorb it as the sea/ Steadfast like a forest”. Interessante è pure la dissonanza fra il tono country e western di Circe and Penelope con il ritratto antitetico delle due figure omeriche, dissonanza che si rivela perfettamente adeguata, interpretata in modo profondo da Margo.

L'originalità della band si esprime in un'insolita apertura di due brani: Hell Is Real si apre con un coro di insetti ronzanti, che rimane costante, sullo sfondo di un blues acustico, che ricorda i primi dischi, mentre in Blue Skies gli uccelli cinguettano, e poi la band si inserisce con un arpeggio di chitarra, chiudendo degnamente il lavoro con un invito saggio e appassionato: non bisogna guardare al futuro e al di fuori di noi stessi per trovare ciò di cui abbiamo bisogno, quando la salvezza è dentro di noi, nel presente che viviamo. Consolante, ritrovare la stessa energia a distanza di anni. Sono davvero tornati per restare.

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