Drayton Farley - Twenty on High (2023)
di Fabio Cerbone
Sarà che da queste parti restiamo aggrappati ancora all’idea novecentesca fatta di album come oggetti, e assai meno ragioniamo di immaterialità dei file, ma una copertina è spesso capace di descrivere un mondo intero, o addirittura di rimandare direttamente a uno stile musicale. Ci si immagina così chissà quale irruenza heavy rock in quello scheletro piazzato sul letto di una stanza, in verità non felicissima come scelta grafica, ma Twenty on High appartiene a tutt’altra specie sonora, quella che ci capita di frequentare in questa rubrica: giovani leve del songwriting americano dal grande nulla della provincia, ballate che disegnano un territorio interiore come riflesso della small town in cui si è cresciuti, nel caso di Drayton Farley una comunità di millecinquecento anime in Alabama chiamata Woodstock (c’è sempre un destino…).
Anche i più scettici saranno infine tranquillizzati dall’apertura di Stop the Clock: puro racconto Americana, suoni elettro-acustici che sanno di tradizione rinnovata, una voce limpida che acquista tutti i crediti possibili con la sua agrodolce malinconia da narratore folk. Rassicurati sull’espressività del musicista, tocca poi confermare un percorso e una biografia personali che sono la ragion d'essere di un intero genere: Farley ha lavorato per le ferrovie, si è rivelato con una dura gavetta locale e un po’ di tour da spalla a Zach Bryan, Lukas Nelson & Promise of the Real e altri nomi in vista del mondo country rock, prima di metterci la faccia con A Hard Up Life, disco del 2021 che ha cominciato a far circolare il suo nome. Twenty on High è il classico azzardo, dove Drayton Farley mette tutta la posta sul piatto: un suono full band, una produzione in quel di Nashville, un gruppo di musicisti che siano in grado di vestire le sue ballate con l’abito giusto.
A giudicare dalla spinta epica di Norfork Blues il cambio di marcia è evidente e funziona: dietro c’è lo zampino di Sadler Vaden, chitarrista e produttore che vanta una carriera solista interessante, ma soprattutto una militanza al fianco di Jason Isbell, e quest’ultimo non è un dettaglio buttato a casaccio. Twenty on High ha il respiro tra country d’autore, fiammate elettriche e radici sudiste tipiche delle opere di Isbell, e persino voce e interpretazione di Farley si muovono in quella direzione: un sentimentalismo Americana che quando abbassa lo sguardo sulla sua terra esprime canzoni piene di pathos e costruite con sonorità che appartengono all’ultima generazione di giovani voci del neo-tradizionalismo (Above my Head e la stessa Twenty on High, tra i vertici del disco).
La consapevolezza di giocarsi la sua grande occasione rende un buon servizio alle composizoni di Farley, che sanno alternare nel corso della scaletta luci e ombre, abbracciare i classici tempi medi di certa canzone roots rock, come avviene in Something Wrong (Inside My head), dove risalta il bel contributo di Peter Levin (piano e organo Hammond), e provare un passo più deciso verso le proprie radici southern (la speziata Devil’s in NOLA, con il violino di Kristin Weber), prima di tornare nella braccia confortevoli di una scrittura country folk più consueta (il duetto in The Alabama Moon, con la partecipazione di Katie Crutchfield, in arte Waxahatchee). Certo, l’impressione che qualche volta la dipendenza dai modelli di riferimento sia ancora troppo forte rimane (la drammaticità di How to Feel Again pare davvero uscire dalla penna di Jason Isbell), ma qui c’è l’ennesimo buon talento da coltivare, dentro una recente nidiata di songwriter che non sembra affatto conoscere cedimenti.
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