Daughter - Stereo Mind Game (2023)

 di Martina Vetrugno

Connessione - ricerca di leggerezza fino allo straniamento - caos totale - disconnessione - nuova speranza. Su questo schema si giocano gli scherzi della mente di "Stereo Mind Game": il ritorno dei Daughter mostra una via fuga dalla realtà, confondendosi nella dimensione onirica e del ricordo, per affrontare la separazione da qualcuno di caro e, in qualche occasione, anche dal proprio io.

La distanza è un tema fondamentale anche per quanto concerne la realizzazione del disco stesso, poiché Elena Tonra, Igor Haefeli e Remi Aguilella si erano allontanati fisicamente da Londra e tra loro, a seguito della pubblicazione di "Music From Before The Storm", per dedicarsi a progetti personali. La pandemia ha poi allungato e complicato i tempi e le modalità di lavoro, ma ciò non ha impedito loro di continuare a comporre insieme.

Tanti i luoghi in cui sono avvenute le registrazioni, tra cui Londra, Devon e Bristol, della quale si ritrovano a tratti incursioni di quel sound che l'ha resa celebre negli anni Novanta, e il nome maggiormente rintracciabile nel disco in tal senso è quello dei Portishead; oltre a San Diego (California) e Vancouver (Washington). Dal punto di vista stilistico i Daughter tentano di allargare le maglie tra dream-pop e indie-folk nelle quali sono soliti avvolgersi, includendo dettagli tipici di pop orchestrale, trip-hop e folktronica, ed è possibile osservare soprattutto i progressi compiuti dalla frontwoman grazie al suo progetto solista Ex:Re, che le ha permesso di sperimentare e ricercare uno stile ancor più personale.

"Intro" detta il mood dell'intera opera, con i suoi echi lontani e il velato intervento dell'orchestra d'archi londinese 12 Ensemble, presente in tutte le tracce del disco, e il cui arrangiamento è stato affidato alla compositrice Josephine Stephenson (già collaboratrice di Tonra per Ex:Re), aprendo ai giri di batteria dell'evocativa "Be On Your Way", brano sulla separazione e sulla possibilità di ritrovarsi l'uno sulla strada dell'altro, che sosta tra dream-pop, un'anima orchestrale e una più elettronica in direzione London Grammar e Bat For Lashes. L'incedere deciso di "Party", tra i cui versi appare anche il titolo dell'opera, presenta un rimando parziale e non scontato ai Sonic Youth più malinconici e accessibili di "Rather Ripped".

Se tutto questo non fosse ancora sufficiente, la doppietta successiva è pronta a imbrigliare e avvolgere definitivamente nelle sue spire l'ascoltatore. Un tentativo di disconnessione dai propri pensieri nel cuore della notte, per dimenticare il vuoto lasciato da qualcuno e dalla mancanza di risposte mai ottenute, questo è l'argomento dell'armonica "Dandelion", che prende le mosse da un folk-pop concitato, dirigendosi verso una coda elettronica ed evanescente, metaforica descrizione di un farmaco che riesce finalmente a placare la mente irrequieta della protagonista.

I registri sfoggiati da Tonra nella sontuosa "Neptune" sfiorano il punto più alto dell'album, le cui molteplici influenze oscillano tra Sharon Van Etten e Lykke Li. Al trio e all'ensemble d'archi si aggiungono gradualmente cori, dato quasi inedito nella discografia dei Daughter, e un quartetto di ottoni. Tra i dolorosi sospiri che si confondono nel buio, si immaginano le risposte ricercate nella traccia precedente: "Whisper/ Answers/ There's no one out there".

Una supplica all'altro di non dimenticare il passato, trovare la forza di andare controcorrente e accorciare la distanza, e allo stesso tempo restare immobili in silenzio, sono i chiaroscuri su cui è incentrata "Swim Back", situata su quel confine labile tra shoegaze e dream-pop tipico di Lush e Slowdive, a cui si aggiungono barlumi di folktronica.

La batteria campionata e gli archi della criptica "Junkmail" si sviluppano su un downtempo, crescendo gradualmente e facendo ritorno in direzione della "scena che celebra se stessa", mentre la successiva "Future Lover" unisce downbeate passaggi folk.

Frammenti di registrazioni distorte sono il punto focale dell'intermezzo, tra l'inquietante e il trasognato, "(Missed Calls)", cui seguono la più scarna "Isolation", retta solo da una chitarra acustica e la voce di Tonra, e le parole dure di "To Rage", nella quale riappaiono gli ottoni, concludendo il percorso con i ritmi concentrici e le melodie ascendenti di "Wish I Could Cross The Sea".

Il quarto album dei Daughter è il più luminoso della loro carriera, dove i contrasti interiori continui, i pensieri impazziti e divergenti, e le emozioni oscure esternate riescono in ultimo a trovare uno sbocco, fino a intravedere una luce in fondo al tunnel e di conseguenza un po' di pace e speranza nel futuro.

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