Storia della musica #31

 La New Wave americana 

Il termine new wave viene usato dalla letteratura musicale coi significati più svariati: per alcuni ad indicare tutto quello che segue all’esplosione punk, per altri a circoscrivere la controparte più intellettuale del fenomeno post-punk, per altri ancora comprenderebbe l’intero fenomeno cominciato a New York nel 1975, punk, post-punk, goth e compagnia ne sono sottocategorie: ognuna di queste convenzioni ha i suoi pro e i suoi contro e tale confusione è solo un’ulteriore segnale della quantità di stili e innovazioni che si innestano nel suono del rock a cavallo tra i due decenni.

Noi ci teniamo l’ultima definizione, ma fissiamo le nostre regole, ennesima forzatura nel gioco delle scene e delle discendenze: consideriamo cioè la new wave un fenomeno parallelo al punk, che trova le sue principali radici ed influenze musicali negli esperimenti dei Velvet Underground e nel rock progressivo tedesco e che comincia a mostrare i primi segni di vita nella New York di Television e Patti Smith, per poi trovare terreno fertile in altre regioni Americane (da Akron alla California) e Inglesi influenzando, in modo più o meno diretto sia gli esperimenti del post-punk sia le traiettorie pop di gruppi come XTC e Japan.

La New Wave, proseguendo con la forzatura ed inglobando un’altra delle definizioni iniziali, potrebbe allora essere vista come l’altra faccia della medaglia del punk, esprimendone l’aspetto più intellettuale: se Ramones e Sex Pistols danno sfogo alla propria angoscia in modo materiale, iniettando adrenalina nelle sonorità del rock’n’roll, musica della rabbia giovanile per eccellenza, gruppi come Suicide e Devo lavorano più di fino, esorcizzando le proprie psicosi in un gioco catartico, rivivendo le tragedie raccontate (i Suicide di “Frankie Teardrop”) o impersonando l’uomo devoluto e lobotomizzato che tanto li inquieta (i Devo).

E mai come in questo periodo il mezzo attraverso cui realizzare tale scopo è libero: libertà creativa e sperimentazione musicale sono l’unico vero denominatore comune di questi gruppi che variano dal cacofonico (Contortions) al sinfonico (Xtc), dal surreale (Pere Ubu) al gotico (Virgin Prunes), dall’elettronico (Suicide) al rockabilly (Cramps).

La cosa più sconvolgente è che tutto questo avviene nel giro di un paio d’anni, mentre ne serviranno più di 20 perché tutti quegli spunti musicali siano ripresi e portati avanti. Di fronte a questo subbuglio stilistico (e non solo) è necessario procedere con ordine, partendo proprio dalla città in cui il fenomeno prende vita: New York, da sempre fucina inesauribile di idee musicali (e non solo).

Se il primo atto della nuova ondata di sperimentazioni è, come si è già detto, “Marquee Moon” dei Television, del 1977, dello stesso anno è l’esordio omonimo dei Suicide, rockabilly allucinato su un algido sfondo di tastiere elettroniche che forniscono non solo il sottofondo melodico ma anche la struttura ritmica, mantra ossessivi che sono figli illegittimi delle allucinate atmosfere dei Velvet Underground di “Heroin”, con la viola elettrica di John Cale sostituita dal ronzio allucinato delle tastiere di Martin Rev e il cantato indolente di Lou Reed rimpiazzato dalla voce spettrale di Alan Vega; altra influenza del gruppo sono i pionieristici Silver Apples, che già dieci anni prima avevano cominciato, in pieno boom psichedelico, a trafficare con gli oscillatori dei synth.

Altrettanto radicali i gruppi che popolano Akron, Ohio, città ultra-industrializzata e quindi patria ideale per una scena di gruppi alienati e nevrotici quali Dead Boys, Pere Ubu e Devo.

I primi, nati sulle ceneri dei Rocket From the Tombs, debuttano nel 1977 con “Young Loud & Snotty”: suoni ed atmosfere sono molto vicini al proto-punk delle New York Dolls, tanto da essere spesso inseriti, a torto o a ragione, tra i gruppi della prima ondata punk americana.

Un altro ex dei Rocket, David Thomas, è alla guida dei Pere Ubu, all’esordio nel 1978 con “Modern Dance” disco in cui il rock’n’roll delle origini è solo una tra le tante influenze, accanto alle dissonanze dei Can più rock e ai lamenti del Captain Beefeheart più terreno; quello che ne esce è un suono unico, che fa dell’esordio un disco completamente a sé stante nelle pur variegata costellazione new wave: giudizio che può essere tranquillamente esteso anche a dischi successivi come “Dub Housing”(1978) e “New Picnic Time” (1979).

Se il suono dei Pere Ubu è scuro e gotico, completamente diverso è l’impatto coi Devo: profeti della devoluzione che è destinata a terminare il ciclo evolutivo dell’uomo trasformandolo in una macchina organica priva di personalità ed incapace di pensare, traspongono il concetto in musica con un suono destrutturato e a tratti atonale, che riesce nel miracolo di mettere in un frullatore senso dell’assurdo Zappiano, strumentazione Kraftweriana e abrasività punk ed ottenerne un disco pop come “Q: Are We Not Men? A: We Are Devo!” (1978), successo sotto il profilo commerciale oltre che sotto quello artistico.

In California, futura patria dell’hardcore, operano invece gruppi come Residents, Chrome e Tuxedomoon: i primi avevano in realtà esordito nel 1974 con il disco “Meet the Residents”, ma è con “Not Available”, del 1978, che il loro collage sonoro impazzito trova la piena maturazione: non c’è definizione per i Residents, né influenze predominanti tale è la varietà di suoni presentati; una sorta di tempesta sonora surreale che, esasperando il gioco cominciato dieci anni prima da Zappa mette insieme exotica e classica, John Cage e primitivismo, Beatles e musica operistica in un collage che pare quasi una ripresa sonora di quella che era stato per le arti visive il Dada.

Altrettanto estremo il suono dei Chrome di “Half Machine Lips Moves” (1978): Iggy Pop imprigionato dentro i sintetizzatori e i suoni del kraut-rock, assemblaggio cacofonico e allucinato di rumori che anticipa il movimento Industriale che sarebbe esploso di lì a poco dalle parti di Sheffield.

Riprendono dal Bowie Berlinese l’intuizione di fondere il sax della tradizione jazz coi sintetizzatori i Tuxedomoon di “Half Mute” (1980), incredibile assemblaggio di punk, classica, avanguardia e jazz che prosegue idealmente il percorso del prog in epoca new wave.

Il sax è anche al centro del suono di James Chance and the Contortions che, con Teenage Jesus, DNA e Mars, sono chiamati a rappresentare il suono della no wave nella celebre compilation del 1978 curata da Brian Eno “No New York”. È un fenomeno che, tra il 1978 e il 1981 anima il Lower East Side di New York, in cui le intuizioni sonore del punk e della new wave sono estremizzate, brutalizzate, portate all’eccesso: il suono della no wave è atonale, cacofonico, dissonante, è il nichilismo umano e sonoro del punk portato al suo limite, in un primitivismo sonoro che apparentemente non ha precedenti se non in fenomeni musicali isolati come Captain Beefheart e Godz.

Il suono distorto e cacofonico della scena sarà ripreso di lì a poco dai Sonic Youth che lo fonderanno col minimalismo dell’ex Theoretical Girls Glenn Branca inventando il noise rock e Buy (1978) dei Contortions verrà annoverato tra i lavori fondamentali del nascituro suono p-funk, mentre alcuni esponenti di quella scena, come la vocalist dei Teenage Jesus Lydia Lunch e il chitarrista dei DNA Arto Lindsay intraprenderanno di lì a poco fortunate carriere soliste.

Fenomeno a parte e successivo nella new wave americana è quello che porta ad una rivisitazione psicotica e orrorifica dei più classici suoni degli anni’50: rockabilly e surf music: le chitarre distorte del surf, lo slapback e la voce riverberata del rockabilly vengono recuperate e imbastardite dai Cramps di “Songs The Lord Taught Us” (1980) inventori del cosiddetto psychobilly; un’atmosfera spettrale e posticcia, che deve tanto ai b-movie americani quanto allo Screamin Jay Hawkins voodoo di “I Put A Spell On You” ed un suono che li avvicina parzialmente ai Gun Club di Fire Of Love (1981): qui però il recupero è più esteso e tocca anche blues e country, in una sorta di roots-rock deformato in chiave punk che ritroviamo anche nel successivo “ Miami” (1982).

Il suono di questi due gruppi sarà d’enorme influenza per tutti quei gruppi che negli anni ’90 torneranno a far rivivere la vena più sordida del rock’n roll, da Jon Spencer ai Deadly Snakes, passando per le Demolition Doll Rods.

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