Slint - Spiderland (1991)

Tre anni prima che Simon Reynolds inventasse la definizione di post rock (come ho scritto nella storia di domenica scorsa), 4 ragazzi di una sperduta cittadina del Kentucky, Louisville, che non erano nemmeno musicisti professionisti (chi si divideva con gli studi, chi con il lavoro) pensano e creano un disco dirompente, che scardina le classiche strutture del rock, quasi ad ucciderlo (secondo la metafora di molta critica) inventando di fatto il genere prima che fosse definito. Conclusasi la breve ma seminale storia degli Squirrel Bait (che produssero due album a metà anni ‘80), Brian McMahan e Britt Walford formano gli Slint, con il chitarrista David Pajo e il bassista Ethan Bucker. Giovanissimi, nel 1989 pubblicano, con la produzione di quello che diventerà il re della musica alternativa americana, Steve Albini, l’urticante e selvaggio Tweez: è un misto caustico di hardcore, punk, potenza sonora in brevi e potentissime canzoni. Il successo è sempre microscopico, ma Albini dirà loro: “non diventerete mai di successo, ma farete qualcosa di grandioso”. Entra in gruppo dopo la pubblicazione di Tweez un nuovo bassista, Todd Brashear: il gruppo prima pubblica un Ep, dal titolo Slint e poi, passati alla piccola etichetta Touch & Go, iniziano a registrare alcuni brani nell’agosto del 1990 ai River North Records di Chicago. In sessioni dirette dal produttore Brian Paulson, c’è tensione e carica esplosiva, e nessuno della band ha mai smentito la notizia che dopo le registrazioni qualcuno fosse passato per cure psichiatriche in ospedale. Durante un concerto esibizione al Kentucky Theater di Louisville, la band propose le canzoni a cui stava lavorando in forma strumentale: sentendole il piccolo fratellino di McMahan disse che erano “spidery”, da cui poi il nome Spiderland a questo disco, capolavoro, che esce nel Marzo 1991. Gli Slint stabiliscono in pratica nuovi canoni, inventano un canovaccio-genere che avrà proseliti per decenni: il formato canzone è destrutturato, fatto a pezzi e ricomposto nei modi più bizzarri, si priva della struttura classica di successioni di strofe e ritornelli, viene compressa e dilatata secondo delle dinamiche che sanno di onde marine, di una sequenza di implosioni\esplosioni, sia nella musica che nel canto di McMahan, che in verità non voleva fare il cantante, ma dei quattro era quello più intonato: sussurri, racconti, quasi sibili si alternano a canti viscerali, urla strazianti, accompagnanti in questo da improvvise scariche sonore che squarciano l’atmosfera di silenzio, cupa e profonda, che caratterizza tutto il disco. Quello che il grunge e la sua potenza stava facendo nel mondo del rock in quegli stessi anni, veniva affrontato con fluide chitarre, liquide ed efficaci, voci distaccate, tempi ritmici dispari e che sembrano correre zoppicando. Le sei tracce sono 6 perle assolute: Breadcrumb Trail, che racconta di un ciarlatano che predice il futuro in un giorno di Carnevale, con i suoi tre accordi avvia la rivoluzione, in una canzone dallo stile complesso, piena di transizioni e caratterizzata dal canto “narrativo” di McMahan; Nosteratu Man si ispira al personaggio del capolavoro del cinema muto di F.W. Murnau, del 1922, è feedback, un caos di cimbali e batteria, si chiude quasi con una jam session; Don, Aman prende il titolo da un anagramma di Madonna, ha una costruzione in “crescendo” e racconta della vita prima, durante e dopo di una “isolated soul” in un bar; For Dinner è uno stupendo strumentale, Good Morning, Captain, ispirata ad poema di Coleridge La Ballata del Vecchio Marinaio, è un altro brano culto, meraviglioso, una cavalcata sbilenca e indimenticabile con finale assurdo di duello voce chitarra (che secondo la leggenda portò McMahan in ospedale). Rimane da raccontare un’ultima canzone, la meraviglia tra le meraviglie: quando la fidanzata di McMahan trovò accidentalmente il testo di Washer, pensò che fosse un biglietto d’addio per il suo suicidio: persino una ballata d’amore viene spolpata e ricostruita dal genio creativo degli Slint, che in Washer regalarono un canzone catartica, meravigliosa, tutta sviluppata su una sola nota, prova magistrale di Pajo alla chitarra. Non posso non accennare alla meravigliosa copertina: i 4 sembrano ancora più giovani di quello che erano, immortalati durante una nuotata in un lago di una cava a Utaca, in Indiana. A scattare materialmente la foto fu Will Oldham, musicista anch’egli, che di lì a qualche anno userà lo pseudonimo di Bonnie “Prince“ Billy per suonare in tutto il mondo. Tutta questa meraviglia venderà negli anni 50.000 copie, davvero tanto per un disco totalmente indipendente, segnando profondamente la vita di centinaia di giovani band, un po’ come fecero i Velvet Underground negli anni ‘60. Non ci fu più nessun seguito a Spiderland: Pajo suonerà in molti progetti sperimentali, tra cui i leggendari Tortoise e con gli Zwan di Billy Corgan. McMahan per anni non fu più in vista nella scena musicale, sino a quando si unì ai For Carnation, che verso la fine degli anni ‘90 produssero alcuni album, che tanto devono alla magia sublime, nera e suggestiva, di questo meraviglioso capolavoro assoluto.



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