Luke Winslow-King - If These Walls Could Talk (2022)

 

di Pie Cantoni 

New Orleans è una città che ti abbraccia, ti intrattiene e ti vizia. Parafrasando qualcuno si potrebbe dire che è una città ti tiene "tra le sue tette un po’ mamma un po’ porca com’è". Nel bene e nel male, ti lascia i segni addosso. La cultura, la musica, i colori, sono così diversi dal resto degli Stati Uniti che viverci e respirarne l’aria per forza di cose ha effetti duraturi. Luke Winslow-King, originario del Michigan, vi ha passato molti anni, vi ha incontrato musicisti e personaggi che ha perso per strada o che l’hanno accompagnato da quel punto in poi della sua carriera (come ad esempio l’italiano Roberto Luti). I dischi che ha registrato in quel periodo sono carichi di influenze del passato: folk, blues, dixie, jazz.

Ma la terra scotta sotto i piedi del ragazzone americano (in senso letterario, in quanto ha le dimensioni di un quarterback di football) e così nel 2020 è tempo di muoversi ancora e lasciare NOLA. E dal sud degli States al nord della Spagna il passo non è breve e nemmeno senza conseguenze sul lavoro di Winslow-King. Perché è in questo periodo che pubblica If These Walls Could Talk, nuovo disco della sua produzione edito da Ghost River, dove le carte in tavola vengono rimescolate nuovamente insieme alle influenze che affollano l’universo musicale del cantante e chitarrista americano. L'album è stato registrato nel gennaio 2020 a Memphis da Dominic Davis (che ha lavorato con Jack White, North Mississippi Allstars tra gli altri) in compagnia di Roberto Luti alla slide, Reverend Charles Hodges all’Hammond (già con Al Green) e The Sensational Barnes ai cori, per aggiungere più compattezza al suono.

Sicuramente tanto Memphis Soul è presente in questo disco, ma ovviamente rock-blues, folk e anche funk. La partenza è affidata ad un brano caratteristico dello stile del chitarrista americano, Slow Sunday June, in cui la slide di Luti fa bella mostra di sé sin dalle prime battute. Anche la successiva Honeycomb ha l’incedere rilassato della musica southern che ormai Luke ha fatto proprio. Altre canzoni si fanno strada tra ricordi e tra nuove esperienze: Winds of Aragon è dedicata ovviamente alla nuova casa di LWK, la Spagna aragonese, Lissa’s Song invece è scritta in memoria della scomparsa Washboard Lissa Driscoll, musicista di strada di New Orleans, con la quale King ha collaborato. Have a Ball mette l’acceleratore su un disco un po’ sonnacchioso con un funk rock carico di overdrive. Don’t Tell Me that I Don’t Love You soffre sicuramente del fatto che il titolo potrebbe essere quello di una canzone di Michael Bolton, ma a parte questo è un punto piuttosto debole del disco, assieme alla cadenza da radio rock di della citata Winds of Aragon e alla levigata scontatezza di If These Walls could Talk. When the Leaves Turn Brown chiude il tutto con influenze spagnoleggianti, che riaffiorano in superficie come nel precedente disco Blue Mesa.

Dai tumulti di New Orleans, al divorzio dalla moglie, sembra che Luke Winslow-King abbia trovato una dimensione più matura di pacata retrospezione della sua vita, mentre il clima aragonese e i ritmi spagnoli lo aiutano a vivere portando i giri del motore al minimo. Ma proprio quella spinta e quella ricerca è quanto manca per speziare maggiormente questo disco. Che alla fine non è male ma è un po’ come mangiare una jambalaya dove ci si è dimenticati di aggiungere il pepe.

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