Storia della musica #14
Il pop barocco
Se folk-rock, psichedelia e country-rock sono fenomeni musicali nati principalmente dalle sperimentazioni e dalle ricerche dei musicisti, a metà degli anni ’60 si va affermando una tendenza ad affiancare o sostituire la line-up tradizionale con ensemble orchestrali, fiati ed archi ed i semplici arrangiamenti del rock con armonie complesse e sofisticate, che nasce in gran parte dalle ambizioni di produttori come George Martin, Van Dyke Parks, Brian Wilson, David Axelrod e Phil Spector .
I primissimi esperimenti in tal senso possono essere ascoltati in “Rubber Soul”(1966) dei Beatles e in “Pet Sounds” dei Beach Boys(1966), prodotti rispettivamente da Martin e Wilson, capolavori assoluti del pop ma anche gioielli di equilibrio tra genio melodico e sperimentazione armonica.
Con Wilson collabora anche Van Dyke Parks, autore di quell’audace tentativo di fondere pop e musica classica, bluegrass e ragtime, che prende il nome di “Song Cycle”(1968).
Ancora più visionari gli esperimenti fatti da David Axelrod che vanno da “Mass in F Minor” degli Electric Prunes (sorta di messa in salsa garage-rock) a pezzi come “Urizen” in cui gli archi fanno da sottofondo a divagazioni chitarristiche psichedeliche e breaks funky di batteria che anticipano di decenni breakbeat e drum’n’bass.
Più canonici, ma anche di maggior successo commerciale, gli esperimenti di fusione tra classica e pop-rock fatti dai Moody Blues negli stessi anni (Nights in White Satin) e Procol Harum ( Whiter Shade of Pale).
Nel frattempo Burt Bacharach continua a firmare piccoli girelli melodici che fondendo brillantemente jazz, soul, bossa nova e pop tradizionale pongono le basi, insieme ai lavori di Herb Albert Martin Denny, Les Baxter, Esquivel ed Henry Mancini per la creazione di quell’universo musicale sempre al confine col kitsch che prende il nome di easy listening e che va dalla lounge all’exotica: un immaginario sonoro che sarà fatto oggetto di un diffuso revival durante gli anni ‘90.
Più in generale il fenomeno del pop barocco continua a diffondersi in modo esponenziale alla fine dei ’60 e l’arrangiamento neo-classico del pezzo rock finisce col diventare filone a sé: dischi che non possono essere non menzionati in tal senso sono “St Giles Cripplegate” di Jack Nitsche ( arrangiatore che aveva contribuito a creare con Spector il celebre wall of sound) e “American Gothic” di David Acles, autore che si ispirava in ugual misura a Dylan, alla coppia Weill-Brecht e a Brel.
A Brel si rifà anche Scott Walker, esponente minore della british invasion con i Walker Brothers che incomincia nel 1967, dopo lo scioglimento del gruppo, una carriera solista di successo che lo rivela come figura anomala del panorama pop, ispirata da crooners come Sinatra e Bennett oltre che dal già citato chansonnier francese: Walker tocca contemporaneamente il suo apice artistico e il suo minimo commerciale con “Scott 4” (1969), pop malinconico e noir che sarà d’ispirazione per una lunga serie di gruppi dei ‘90, come Pulp, Divine Comedy e Cousteau, che non a caso si riallacceranno idealmente al pop orchestrale di questi anni.
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