Angelique Kidjo & Ibrahim Maalouf – Queen Of Sheba (2022)
di Alessio Surian
“Sheba” in italiano è Saba, regina vissuta nel X secolo A.C., forse tra il sud della penisola arabica (oggi Yemen) e il Corno d’Africa (Somalia e Etiopia), nota anche come Makeda (in etiope), Nicaula (secondo Flavio Giuseppe, storico ebreo con cittadinanza romana del I sec. D. C.) e Bilquis (araba). Ne parla Boccaccio (“De mulieribus claris”), ma prima di lui il Talmud, la Bibbia (nel Primo libro dei Re, e nel Secondo libro delle Cronache, poi nei Vangeli di Matteo 12:42 e Luca 11:31), Kebra Nagast, ovvero La Gloria dei Re etiope (fra i testi sacri del Rastafarianesimo), la ventisettesima sura del Corano. Se il racconto biblico descrive la regina che si reca a Gerusalemme da Salomone per metterne alla prova la saggezza con una serie di indovinelli, il Corano vede Salomone mettere alla prova la regina. Quattro anni fa, Ibrahim Maalouf e Angélique Kidjo ne hanno parlato e ne è nata una collaborazione che è sfociata in una suite in sette parti con i testi (in yoruba) affidati a Angélique Kidjo e la composizione e conduzione delle musiche ad Ibrahim Maalouf, coinvolgendo nelle registrazioni in studio sessanta musicisti fra voci, archi, fiati, batteria, percussioni (Magatte Sow), chitarra, basso e piano elettrico, oltre alla sua tromba.
Le registrazioni, prodotte dall’etichetta indipendente di Maalouf, Mister Ibé, sono avvenute nello Studio Ferber di Parigi, nello Studio Diasporas a Ivry-sur-Seine, e nel Revival Studio di Los Angeles. Prima di arrivarci, Maalouf e Kidjo hanno affinato la suite presentandola in vari palchi fin dal 2018: a Vienna (Jazz à Vienna), al Festival di Saint Denis, nella Basilica di Saint Denis alla Carnegie Hall di New York, al Marciac Jazz Festival e al North Sea Jazz Fest. Il messaggio è semplice e diretto: si canta l’incontro e l’amore, anche fra chi può sembrare apparentemente lontano, come risposta a chi soffia sulle divisioni e a chi prepara e fa esplodere la guerra. In questo modo, l’incontro fra Saba e Salomone viene celebrato nella sua dimensione di dialogo e di unione e viene, allo stesso tempo, riletto allargando i confini al mondo arabofono e africano, dal Libano di Maalouf al Benin di Kidjo, così come intersecando registri musicali complementari, dall’orchestra classica al jazz al pop e ai timbri e ritmi specifici di tradizioni africane e mediterranee. “Ahan” e “Eyin”, i primi dei sette brani, sono aperti in solitudine dalla tromba di Maalouf, presto raggiunta dalla nitida voce di Kidjo e quindi da tutta l’orchestra in due delle composizioni più complesse, dense ed incalzanti della suite, con un uso magistrale dei diversi timbri a disposizione, compreso l’ampio coro che costituisce spesso un ponte fra la narrazione solista di
Kidjo e i controcanti e gli ispirati interventi solistici di Maalouf. Ognuno dei sette brani rilegge uno dei sette enigmi posti da Saba a Salomone: il bel libretto che accompagna l’album li riporta in inglese e in francese. Quello che sta al centro del terzo brano, “Omije” chiede quale acqua sia sgorgata – a volte dolce e a volte amara – lungo il cammino di Saba, in riferimento alle lacrime da lei versate durante il viaggio verso Gerusalemme. Questo brano, preso ad un tempo medio, con un incedere solenne, risulta essere fra i momenti più lirici ed emozionanti dell’intera suite, con ampi spazi da solisti per entrambi i protagonisti ed un attento ricorso alle dinamiche di volume e di interplay fra le diverse parti strumentali. Maalouf ne fa un uso magistrale, tenendo in tensione un’opera musicale al contempo ricca di idee e spunti improvvisativi, ma che rimane accessibile grazie all’uso di melodie facilmente riconoscibili, ostinati, cornici pop sollecitate da enzimi ritmico-armonici sempre diversi.
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