Storia della musica #12
Il rock blues di fine anni ‘60
Non tutto quello che viene prodotto in America (e in Inghilterra) nella seconda metà degli anni ’60 ha necessariamente a che fare con il movimento psichedelico: su entrambe le coste dell’Atlantico il filone “apparentemente” più tradizionale del rock, quello che deriva più direttamente dalle matrici blues e rhythm’n’blues delle origini, è più florido che mai ed va arricchendosi di sfumature sempre nuove, in un costante processo di fusione ed ibridazione.
Proprio in tal senso opera il Blues Project di quell’Al Kooper che ha già contribuito, col suo organo, all’elettrificazione di Dylan: se già in “Projections” (1966) a pezzi più tradizionalmente blues-rock se ne affiancano altri influenzati da jazz e folk, la ricerca di Kooper prosegue poi in territorio pop con i Blood Sweat & Tears di “Child Is Father to the Man” (1968), dove il gioco all’eclettismo diviene ancora più spinto, in una sorprendente miscela di blues, soul, jazz e classica.
Più legati alla scena psichedelica di San Francisco i Big Brother & the Holding Company di “Cheap Thrills” (1968): l’interesse nei confronti del gruppo è in realtà legato alla figura della vocalist Janis Joplin,una delle più grandi cantanti rock di tutti i tempi, voce roca e lancinante ferita dall’alcool, tra i pochi interpreti bianchi a rendere in modo convincente la disperazione e la rabbia rassegnata che del blues costituiscono il cuore, cosa confermato anche dalla carriera solista, al culmine con lo splendido “Pearl” (1970).
Altrettanto convincenti nella loro rilettura del blues l’armonicista Paul Butterfield e la sua Blues Band, autori con “East-West” (1966) di una spericolata fusione tra blues, rock&roll, psichedelia, jazz e musica indiana e i Canned Heat, con un blues-rock pesantemente virato verso il boogie, direzione musicale dichiarata già nel titolo del secondo disco “Boogie With Canned Heat” (1968).
La radice blues si intreccia invece con operazioni di riscoperta filologica di oscuri suoni tradizionali, americani e non, nei dischi di Taj Mahal e Ry Cooder, fino al 1967 una coppia sotto la sigla di Rising Sons, poi con le rispettive carriere soliste: folk caraibico, jazz, gospel, R&B, zydeco tra i generi studiati e suonati dal primo, tex-mex, musica hawaiana , dixieland e vaudeville alcuni dei generi esplorati dal secondo. La tradizione blues-rock prosegue ovviamente anche in Inghilterra, dove alla Blues Incorporated di Alexis Corner si affianca un’altra “scuola”: sono i Bluesbreakers di John Mayall dove si fanno le ossa, tra gli altri, Eric Clapton, Mick Taylor e Peter Green. Il primo andrà a formare (con Jack Bruce e Ginger Baker) i Cream, primo power trio della storia (chitarra+basso+batteria), che introdurrà nel blues lunghe improvvisazioni tipiche del jazz raggiungendo il capolavoro assoluto con “Disraeli Gears” (1967), il secondo entrerà nei Rolling Stones, mentre il terzo fonderà i Fleetwood Mac che, partiti come gruppo tradizionale di blues-rock cominciano a virare, già con “ English Rose” (1969), verso lidi più pop. A dire il vero prima di suonare nei Bluesbreakers, Clapton si era già messo in mostra nelle file degli Yardbirds: prenderà il suo posto Jimmy Page: di quel che succede dopo, in particolare, quando nel 1968, rimasto solo, Page fonderà i nuovi Yardbirds, futuri Led Zeppelin, se ne parlerà più tardi...
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