Storia della musica #11

I Velvet Underground

Non è solo per l’importanza rivestita nella storia del rock che i Velvet Underground si guadagnano sul campo un capitolo a sé, ma anche per l’impossibilità di inserire la loro musica in un qualsiasi filone musicale degli anni ’60: con un po’ di sforzo si può stabilire un nesso con la psichedelia, solo che qui le derive psichedeliche sono legate all’assunzione di eroina, non di Lsd, e i luoghi non sono le spiagge assolate dalla California ma le strade pulsanti di New York: e lo stesso pulsare ossessivo e frenetico, ricorre come un mantra in pezzi come “Heroin” e “Run Run Run” lungo i solchi dell’esordio “Velvet Underground & Nico” (1967) alternandosi però con nonchalance alla dolce decadenza pop di “Sunday Morning” e “I’ll be Your Mirror” o alle oscure atmosfere di “All Tomorrow Parties”.

Questo accostamento d’opposti inedito, tra pop ed avanguardia, rock americano ed espressionismo europeo weilliano è il frutto dell’incontro tra due soggetti altrettanti diversi: Lou Reed, già paroliere per la Pickwick Records, musicista ed appassionato doo-wop con una certa predisposizione e curiosità per le avanguardie e John Cale, che da quelle avanguardie proviene, studi classici alle spalle e trascorsi al fianco di LaMonte Young e John Cage, e una certa attrazione per il rock.

Se i due sono l’asse portante del gruppo, la line-up definitiva si completa con l’aggiunta di Sterling Morrison alla chitarra e Maureen Tucker alla batteria. Il gruppo, avanti anni-luce rispetto alla stragrande maggioranza dei contemporanei, sfugge al rischia di rimanere un fenomeno puramente underground grazie al provvidenziale incontro con Andy Warhol nel 1965: Warhol diventa manager del gruppo e produce il debutto omonimo, ideando però la celebre cover con la banana e attirando sul gruppo la curiosità della stampa.

Non solo, allo scopo di accentuare l’aura decadente del gruppo gli affianca la spettrale voce della modella tedesca Nico, (inizialmente accolta con una certa titubanza dagli altri membri del gruppo), cui spetterà l’interpretazione di alcuni dei pezzi più belli dell’esordio, uno tra tutti la splendida “Femme fatale”.

La musica del gruppo resta comunque troppo rivoluzionaria per il grande pubblico e il disco resta un fenomeno relativamente sconosciuto per molti anni: incredibile è però l’influenza esercitata dal gruppo sulle leve future nell’anticipare il nichilismo che sarà del punk del ’76, le atmosfere decadenti che saranno riprese da molti gruppi new wave e goth, l’introduzione del feedback all’interno della struttura della canzone rock ( e pop ), ragion d’essere del futuro movimento noise-rock e di tutti coloro che, sulle orme dei Velvet, lo utilizzeranno per la creazione di mantra sonori. 

L’influenza del gruppo è incalcolabile e riveste per l’indie rock la stessa importanza che ebbero i Beatles per lo sviluppo del pop-rock inglese e questo nonostante l’esiguità della produzione del gruppo: due soli dischi con la formazione originaria , con il secondo, “White Light White Heat”(1967), già orfano di Nico e poi altri due dischi senza Cale(sostituito da Doug Youle), con “Loaded”, inciso per la Atlantic, a chiudere la breve saga del gruppo, virando peraltro verso il pop e il glam di cui Reed diviene nei primi ‘70 uno dei massimi protagonisti, trovando un punto d’incontro tra il decadentismo del gruppo e quella del movimento Inglese e l’ennesimo capolavoro, quel “Transformer” che inaugura la collaborazione con Bowie/Ziggy Stardust e lancia la carriera solista di Reed: una carriera che passa anche per l’estremismo noise di “Metal Machine Music”(1975), inascoltabile affastellamento di rumori che porta ai suoi estremi gli spunti dei Velvet.

Anche gli altri membri del gruppo, in particolare Nico e John Cale, portano avanti brillanti carriere soliste: la prima raggiunse il suo apice col gotico “The Marble Index”(1969), disco oscuro e ricco di elementi classici, in cui il rock è ormai un ricordo lontano e dove si viaggia, se mai, dalle parti dello Scott Walker più moribondo. Il disco è prodotto proprio da Cale, che dopo un disco di stampo più tradizionale come “Vintage Violence”(1970) si trova a collaborare col compositore minimalista Terry Riley in “Church of Anthrax”(1971), disco quasi interamente strumentale e probabilmente lavoro più avanguardistico della sua carriera.

Dopo aver ondeggiato a lungo tra tradizione e avanguardia, Cale trova il centro incidendo dischi che mantengono un aspetto sperimentale per quanto riguarda gli arrangiamenti ( e in gran parte anche i costumi di scena indossati negli anni ’70) ma una struttura relativamente classica e cantautoriale nella sostanza, toccando con “ Music For A New Society ” (1982) il punto più alto della sua carriera discografica solista.

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