La canzone per la libertà e redenzione di Bob Marley

 di Luca Divelti

Chris Blackwell non era del tutto soddisfatto del materiale che stava ascoltando: il produttore sentiva che mancava qualcosa che desse maggiore profondità all’album che Bob Marley stavano registrando insieme ai Wailers e parlò francamente, mostrando la sua evidente delusione.

La band non la prese bene, ma rimase comunque in silenzio di fronte a quella che sembrava una bocciatura, mentre Bob sorrise lievemente, senza accennare ad alcuna protesta, accettando le critiche del discografico che gli aveva aperto le porte successo.

La reazione di Bob Marley era probabilmente figlia della consapevolezza di avere già pronto quanto richiesto dal capo della Island Records, l’etichetta che nei primi anni settanta lo aveva strappato a suon di sterline dai troppi contratti capestro in cui il giovane artista giamaicano si era invischiato, per farne poi una stella internazionale.

Il giorno successivo di quella tarda primavera del 1980 Bob si ripresentò da Blackwell con una cassetta demo in cui erano registrate due canzoni: il discografico le ascoltò attentamente, rimase favorevolmente colpito da entrambe e le inserì nella scaletta del nuovo disco.

Così alle tracce previste per Uprising (tra cui Zion Train, Could you be loved, Forever loving Jah) furono aggiunte anche Coming in from the cold e Redemption song: su quest’ultima Bob stava lavorando da circa un anno, da quando cioè la malattia di cui soffriva lo aveva messo di fronte al dolore fisico e mentale.

Nel 1977 gli era stato diagnosticato un melanoma in stato avanzato sotto l’unghia dell’alluce destro: all’inizio i medici provarono a convincere il cantante ad amputare l’intero piede o almeno il dito che presentava la lesione, in modo da contrastare la diffusione del tumore, ma le convinzioni religiose di Marley lo portarono a rifiutare ogni tipo di intervento così drastico, limitando le cure alla rimozione del letto dell’unghia malata.

Marley era notoriamente molto devoto al rastafarianesimo, religione contraria a qualsiasi approccio chirurgico che preveda l’amputazione di una parte del corpo: l’integrità morale e fisica è infatti assai importante per i fedeli rastafari, che seguono alla lettera quanto previsto nei versetti del Levitico 21:5 (I sacerdoti non si faranno tonsure sul capo, né si raderanno ai lati la barba, né si faranno incisioni nella carne), tanto da consacrare alla loro fede anche la capigliatura, i famosi dreadlocks, che non devono essere mai tagliati.

Nonostante Bob si sforzasse di vivere la sua vita, non poteva fare a meno di notare quanto il suo viso fosse sempre più scarno e il dolore una presenza costante con cui convivere: così, poco a poco, si abbandonò alla consapevolezza del tempo che stava scadendo, accettando di fare i conti con la propria mortalità.

In quei terribili momenti, imbracciando la sola chitarra proprio come faceva quando era un ragazzino squattrinato, Bob compose la propria terapia del dolore e nacque Redemption song.

Dentro la canzone riversò tutto se stesso e i temi a lui cari, delineando in poche frasi uno dei più potenti inni di protesta e speranza mai scritti.

Uno dei versi più conosciuti del brano trae ispirazione dalle opere di Marcus Garvey, attivista africano che nel 1937 scrisse “Ci emanciperemo dalla schiavitù mentale perché mentre altri potrebbero liberare il corpo, nessuno tranne noi stessi può liberare la mente“, mentre il cantante mise nelle sue liriche “Emancipati dalla schiavitù mentale, nessuno tranne noi stessi può liberare le nostre menti”.

Sempre da Garvey Marley trasse l’ispirazione per il titolo del brano, prendendo spunto dalla prefazione del libro The Philosophy and opinions of Marcus Garvey del 1923, che l’autore dedicava ai membri della Universal Negro Improvement Association per la loro lotta nella redenzione africana.

Ma a segnare Redemption song è anche la trasparente rassegnazione di Marley a quello che lo aspetta e che emerge nel suo invito ad aiutarlo a cantare le uniche cose che ormai gli restano, le sue canzoni di libertà e redenzione.

La registrazione del brano seguì il solito iter a cui Marley e i Wailers erano abituati, ma i versi di Redemption Song avevano difficoltà ad adattarsi alle pulsazioni tipiche del reggae. Fu Blackwell, che aveva capito quanto la canzone fosse densa di significati, a convincere la sua stella a cantarla da solo, accompagnandosi con la chitarra, ricreando così l’intimità con cui era stata scritta.

Dopo la pubblicazione a giugno di Uprising iniziò la tournée segnata da grandi bagni di folla prima in Europa e poi negli Stati Uniti, con Could you be loved che impazzava in radio. A settembre, mentre Bob era a New York, la sua malattia diede uno scossone più grosso del solito e lo fece svenire durante la corsa mattutina a Central Park: gli esami furono impietosi e sancirono che le metastasi, dopo aver invaso i polmoni e il fegato, erano arrivate anche al cervello.

La tappa successiva a Pittsburgh distava solo due giorni dal collasso del cantante, che decise di onorare lo stesso l’impegno e di salire sul palco e cantare: prima di eseguire una commossa Redemption song, presentò il brano sostenendo che fosse solo “una piccola canzone”.

E forse mentre intonava il suo testamento spirituale Bob ripensò al suo essere meticcio, figlio di un sessantenne inglese e di una diciottenne di colore, che fu costretta a crescerlo da sola; o ai suoi anni da bambino, quando si sentiva escluso dagli altri ragazzi che lo chiamavano “tedesco” per la sua pelle troppo chiara per un nero; oppure a Rita, agli anni assieme e ai figli che non avrebbe visto crescere; o all’Imperatore d’Etiopia Hailé Selassié, la cui figura lo aveva sempre ispirato; oppure alla sua Giamaica, che aveva amato e abbandonato nel 1976 dopo un irruzione a mano armata in casa sua.

O semplicemente pensò a finire quel concerto e magari a fuggire dal dolore, dalla paura e dall’angoscia e a rifugiarsi nella preghiera, perché la fede non gliela avrebbe strappata neanche il cancro.

Quello fu il suo ultimo concerto: i dottori gli diedero solo poche settimane di vita ancora.

Lui ne strappò invece molte di più, fino a che undici mesi dopo l’uscita di Uprising il melanoma non reclamò quello che restava del suo corpo martoriato, privato sul finire anche dei suoi preziosi dreadlock: Bob Marley interrompeva così il suo viaggio terreno a soli trentasei anni, lasciandosi dietro una canzone che lo consegnava definitivamente all’immortalità artistica.Redemption song rappresenta quello che dovrebbero essere tutte le canzoni: un luogo in cui perdersi e sognare, vivendo un’emozione di pochi minuti o magari l’illusione di un viaggio che non ha fine.

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