John Coltrane: misticismo, innovazione e orgoglio nero

 di Luca Divelti

“Alla fine, ciò che conta non sono gli anni della tua vita, ma la vita che metti in quegli anni.” Abraham Lincoln

“Questo pomeriggio ci siamo riuniti nella quiete di questo santuario per pagare l’ultimo tributo di rispetto a queste meravigliose bambine di Dio. Sono entrate sul palcoscenico della vita appena qualche anno fa, e nei pochi anni vissuti su questa scena mortale, hanno vissuto degnamente. Ora cala il sipario; vanno verso l’uscita; il dramma della loro vita terrena si conclude. Esse sono ancora destinate a quell’eternità da cui sono venute. Queste bimbe – innocenti e bellissime – sono state le vittime di uno dei più vili e tragici crimini mai perpetrati contro l’umanità.”

Con queste parole dense di dolore e commozione il Reverendo Martin Luther King iniziava il suo elogio funebre il 18 settembre 1963 a Birmingham, in Alabama, durante le esequie di Carol Denise McNair, Addie Mae Collins e Cynthia Diane Wesley. Pochi giorni prima, quattro membri del Ku Klux Klan avevano nascosto sotto i gradini dell’ingresso principale di una Chiesa battista della cittadina circa quindici candelotti di dinamite: l’esplosione, avvenuta mentre si teneva una funzione, ferì ventidue persone e uccise oltre alle tre ragazzine anche Carole Robertson, un’altra piccola innocente che avrebbe ricevuto una cerimonia separata.

Questo discorso, come il tragico evento, ricevette molte attenzioni dalla stampa nazionale, avvalorando la lotta per i diritti civili degli afroamericani, che da anni il Reverendo King stava faticosamente portando avanti. Tra coloro che rimasero impressionati dalla strage di Birmingham ci fu anche John Coltrane, che, ispirato anche dal discorso di MLK, compose e incise in una sola notte un nuovo brano, Alabama.

Il pezzo, registrato assieme ai fidi McCoy Tyner, Jimmy Garrison ed Elvin Jones, venne inserito nel disco Live in Birdland, pubblicato pochi mesi dopo l’attentato dei suprematisti bianchi: nelle intenzioni del sassofonista, Alabama doveva essere la risposta a tutte le atrocità commesse nei confronti delle persone di colore, schiacciate dal razzismo e da un odio ingiustificato e indiscriminato. Coltrane riprese le forme ritmiche delle parole del Reverendo King e su di loro costruì il suo dolente manifesto di note che, nel loro crescendo, dovevano simboleggiare la voglia di riscatto e l’orgoglio degli afroamericani.

Coltrane concentrò tutto il proprio turbamento, la tristezza e lo sconforto per quanto era accaduto e li rese un suggestivo lamento in musica, mostrando quanto la sua arte fosse ormai pronta a raggiungere vette inesplorate e che, come evidente da tempo, era lui il nuovo punto di riferimento dei giovani jazzisti, così come lo era stato a suo tempo il suo idolo Charlie Parker.

La vita di John Coltrane fu molto breve: morì nel luglio 1967, poche settimane prima di compiere quarantuno anni. Un tumore al fegato individuato a maggio, a uno stadio troppo avanzato per lasciare qualche speranza, mise fine in maniera imprevedibile e tragica allo straordinario percorso musicale di uno dei più importanti esponenti della musica del Ventesimo secolo.

A volte la vita, o il destino se preferite, si accanisce in maniera ancora più beffarda e crudele nei confronti di uomini apparentemente incrollabili e disposti a cambiare il proprio percorso e a migliorarsi: quello di Coltrane fu a lungo funestato dall’eroina e all’alcool, subdoli compagni degli anni del Bebop e irrinunciabili accessori per i musicisti che volevano emulare i grandi e dissoluti eroi del jazz dell’epoca. “Trane” impiegò anni a liberarsi dalla dipendenza da droghe e ci riuscì nel 1957, dopo che un Davis innamorato del suo sound, ma ormai esasperato da quella che considerava una inarrestabile discesa verso gli abissi professionali, lo cacciò dalla sua band: da quella esperienza traumatica il sassofonista riuscì a scovare dentro di sé gli strumenti per abbandonare le sue frequentazioni tossiche e ripartire, tornando assieme al grande trombettista per incidere Kind of Blue.

Dopo Kind of Blue Trane prese piena consapevolezza dei propri mezzi e lasciò (stavolta di sua iniziativa) il gruppo di Davis, fondandone uno in cui riversare le sue idee musicali. Il suo jazz di chiara matrice modale si andò sviluppando giorno per giorno, durante una quotidianità che era diventata un’unica, intensa e irrefrenabile jam session senza fine, in cui Coltrane non abbandonava mai il suo strumento, ma ne esplorava ogni possibile anfratto e nota, evocando scale esotiche fino a sconfinare nella psichedelia.

A Love Supreme: l’autoritratto jazz di John Coltrane

Trane raggiunse il proprio apice e lo status di leggenda con A Love Supreme, da sempre considerato il suo testamento musicale e uno dei dischi che ha cambiato per sempre la percezione della gente nei confronti del jazz. In questo album il suo virtuosismo espressivo e febbrile si dispiegava completamente e riusciva ad approdare finalmente verso uno stile che superava tutti i limiti imposti dal genere modale, abbandonando le strutture consolidate e affacciandosi negli ambiti del free jazz. Vero e proprio concept album ante litteram, A Love Supreme è anche il manifesto mistico e religioso di Coltrane, che proprio nella preghiera, tra le altre cose, trovò conforto e forza per riprendere in mano la propria vita e allontanarsi dall’eroina.

Costituito da quattro movimenti lineari (Acknowledgement, Resolution, Pursuance, Psalm), sul cui tappeto sonoro si innestano compulsivamente gli interventi di Trane e dei suoi musicisti, l’album è la summa poetica della concezione artistica di Coltrane, in grado di fondere il jazz americano con echi orientali, ritmi africani e atmosfere quasi liturgiche, nel tentativo di indagare in maniera visionaria la propria spiritualità. L’espansione apparentemente senza fine dell’universo musicale di Coltrane e la sua instancabile ricerca di riempire di note ogni spazio e momento della giornata, di migliorare sé stesso e di individuare l’attimo perfetto in cui l‘improvvisazione e la spiritualità si fondono, giungendo infine a una bellezza stordente e quasi dolorosa, hanno reso John Coltrane uno dei punti di riferimento della musica contemporanea. Messo sul podio dei più grandi jazzisti di ogni epoca, spesso assieme a Parker e Davis (scegliete voi la classifica), è venerato oggi come un santo nella Saint John Coltrane African Orthodox Church di San Francisco, in cui i passi della Bibbia sono intervallati da quelli di A Love Supreme.

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