Primal Scream - Screamadelica (1991)

Tra il 1985 e il 1986, in uno dei periodici momenti di rivisitazione degli stili musicali precedenti, una generazione di musicisti, soprattutto britannici, iniziò a prendere nelle proprie creazioni le atmosfere del beat e dei gruppi californiani (Byrds, Love, Beach Boys) tanto che uno storico reportage del New Musical Express li definì “generation C86″. Tra loro spiccava un ragazzo scozzese, Bobby Gillespie, che partecipò come percussionista e batterista in uno dei dischi più importanti della shoegaze music (termine che indicava la caratteristica dei gruppi di rock alternativo di muoversi poco sul palco e guardare in basso durante le esibizioni, come se si stessero guardando le scarpe, e fu sempre un reportage della NME a definirli così), Psychocandy dei seminali The Jesus And Mary Chain, anche loro scozzesi. Dopo quel disco però Gillespie se ne va dal gruppo e ne fonda uno proprio, a cui dà il nome di un libro molto famoso dello psicoterapeuta Arthur Janov: Primal Scream. Iniziano con un disco che si ispira al passato, un sixties pop che sin dal nome del rimo album, Sonic Flower Groove (siamo nel 1987), non lascia granchè all’ascolto. Con Gillespie ci sono Andrew Innes, alla chitarra, Robert Young al basso e Jim Navajo all’altra chitarra. Già al secondo disco c’è un cambio di formazione (Philip Tomanov alla batteria e Young che si sposta dal basso alla chitarra) ma Primal Scream sembra una brutta copia anni ‘80 dei Rolling Stones. C’è un solo brano che si ricorda, I’m Losing More Than I Ever Had (che in retrospettiva sembra quasi una ammissione di colpa sul lavoro fatto) che sarà lo spunto per un Dj, figura che sta diventando centrale con la proliferazione dei club dove si va a ballare musica remixata. Andrew Weatherhall è uno dei più eminenti Dj del periodo, prende I’m Losing More Than I Had e lo stravolge innestandovi ritmiche dub, funk, e i primi campionamenti, addirittura dalla colonna sonora di un film (Peter Fonda da Il Selvaggio), oscure versioni di bootleg italiani (una esibizione di What I Am di Edie Brickell) e schitarrate graffianti e potenti, con il risultato che Loaded, primo singolo di Screamadelica (1991) va ai primi posti in classifica. Il disco descrive finalmente le potenzialità e le idee dei Primal Scream, con il produzione oltre a Weatherhall, gli Orb (famoso duo di musica elettronica) e addirittura Jimmy Miller, produttore degli Stones, che sono un po’ il faro rock della band. E la solare e bellissima Movin’ On Up, che apre il disco, quasi sembra pescata dal periodo d’oro stonesiano, con gli innesti soul, i cori, il ritmo che ammicca un po’ al samba rock di Sympathy For The Devil. Tutto il disco è un equilibrio perfetto tra la rielaborazione, l’originalità e la miscela perfetta di rock e elettronica, la musica perfetta per la club generation. Slip Inside This House ha addirittura un “duello” tra drum machine e basso ed è in pratica una cover dell’omonima canzone dei mitici 13th Elevation Floor; Don’t Fight It, Feel It è una delle loro canzoni inno, irresistibile con la voce ospite di Denise Johnson (deceduta a Luglio del 2020 per Covid), Higher Than The Sun è un omaggio non agli anni ‘60 ma alla musica anni ‘80 (con echi di New Order), ma sono sempre i grandi gruppi californiani che accendono i ricordi (ascoltare Inner Flight e vi troverete nelle California del 1964). Come Together profuma di dub ed è una delle canzoni che fanno conoscere le tendenze acid e house al grande pubblico. C’è spazio anche per il romanticismo con Damaged, che è una dolce ballad per chitarra, piano e voce e sottofondo di organo hammond. In I’m Coming Down svetta un sax, mentre nel reprise di Higher Than The Sun a svettare è il basso dell’ex PIL, Jah Wobble, con la docile Shine Like Stars posta come chiusura del tutto. Un disco che vendette milioni di copie, tanto che vinse nel 1992 il prestigioso Mercury Prize, entrando non solo nella discoteca di milioni di ragazzi, ma segnando uno dei dischi decisivi per la musica europea, e non solo, degli anni ‘90. Da ricordare anche la copertina, che come tutte quelle di Gennaio non ha nome della band nè titolo: fu il creativo della Creation, la loro casa discografica, Paul Cannell, a disegnare la macchia di colore, prendendo spunto da un macchia di umidità del soffitto dopo una dose di LSD. Non si può tralasciare che probabilmente molto dell’anima del disco abbia a che fare con avventure chimiche (quelli sono gli stessi anni dell’esplosione dell’uso del MDMA tra i giovani e l’apice di una certa cultura dello sballo) e probabilmente la storica Movin’ On Up è una canzone su quel tipo di esaltazione, ma questa è un’altra storia che poco toglie a questa pietra miliare della musica contemporanea.

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