Storia della musica #3

Gli anni bui del rock’n’roll 

Non bisogna farsi sviare dal titolo: il periodo che succedette agli anni di fuoco del rock’n roll (1954-1958) non fu in realtà così buio, né privo di stimoli… semplicemente la carica eversiva degli anni precedenti si esaurisce, il fenomeno rock’n roll viene imbrigliato e da una parte troviamo figure che appartengono ancora all’universo del primo rock’n’roll, ma nella cui musica gli elementi tipici del country tendono a predominare fortemente su quelli blues, dall’altra spuntano i cosiddetti teen idols, personaggi pop la cui immagine veniva accuratamente studiata per compiacere quel pubblico giovane che era stato scoperto con Presley.

Alla prima schiera appartengono Johnny Cash, (spesso considerato erede ideale del divo country Hank Williams), gli Everly Brothers ( le cui armonie vocali, sintesi di country e doo wop, saranno mandate a memoria da gruppi come Beach Boys,Beatles e Simon&Garfunkel) e Roy Orbison ( altra influenza importante per i Beatles con un rock ultramelodico venato di country e folk).   Rientrano a pieno titolo nel pop tradizionalmente inteso i teen idols dell’epoca il cui primo fu il Pat Boone di “Love and Letters in the Sand”, seguito a ruota da Paul Anka, Ricky Nelson e Frankie Avalon. Nel clima di restaurazione di cui si diceva, si torna alla line up tradizionale precedente l’avvento del rock’n’roll: il cantante accompagnato dall’orchestra e una piccola industria di songwriters a lavorare dietro le quinte al Brill Building di New York tra cui Neil Sedaka, Carole King e Neil Diamond. Si crea un sottogenere di pop-rock piuttosto stereotipato la cui fine verrà decretata dai suoi stessi protagonisti: per averne un’idea è sufficiente ascoltare i pezzi del 1963 di Gene Pitney, Dion, e Del Shannon, tra prime comparsate di strumenti elettronici ( in “Runaway” di Del Shannon) e una “Runaround Sue” fortemente influenzata dal doo wop.

Il doo wop è una rivisitazione in chiave rhythm’n’blues dei vecchi Barbershop Quartet degli anni ’40: i gruppi doo wop erano gruppi vocali in cui ogni parte è strettamente collegata alle altre, sullo sfondo voci che pronunciano frasi prive di senso con funzioni ritmiche e davanti il lead vocalist. Fenomeno di vita breve che si colloca a cavallo tra i ’50 e i ’60 ma reso popolare da una schiera innumerevole di gruppi, tra cui ricordiamo i Drifters di “Stand By Me”, i Five Royales di “Baby Don’t Go”, i Monotones di “The Book Of Love” e poi Marcels ( “Blue Moon”), Orioles ( “Crying in the Chapel”) e Penguins ( “Earth Angel”).

Altro cavallo di battaglia commerciale accanto ai teen idols e ai gruppi doo wop e destinati ad influenzare molti gruppi pop e rock futuri, specialmente inglesi, sono i girls groups: gruppi come Crystals, Shirelles, Ronettes e Shangri-las. Il suono è a metà strada tra il pop-rock del Brill Building ( e da lì provengono molti dei pezzi di maggior successo di questi gruppi), il rhythm & blues e il rock’n’roll di qualche anno prima ( la “pulizia” dei testi e degli arrangiamenti fa comunque pendere pesantemente la bilancia a favore della prima componente). Figura chiave risulta il produttore Phil Spector ( dietro a Crystals e Ronettes ) che nei primi anni ’60 perfeziona il cosiddetto Wall Of Sound, tecnica di produzione che lo rende famoso,che utilizza sovrapposizioni di strumenti, orchestrazioni, sovraincisioni, raddoppio di batteria e di chitarre e un gran numero di coristi, allo scopo di creare quelle che lui definisce “sinfonie per ragazzi”: un suono che lo condurrà nell’olimpo dei produttori di tutti i tempi e che troverà infinite schiere di estimatori (e di imitatori).

C’è poi un altro filone musicale alla fine dei ’50 ad emergere prepotentemente quale trait d’union tra il rock’n’roll del ’54 e la successiva ondata che prende il nome di British Invasion: il surf. Caratterizzato da chitarre riverberate e distorte e frenetici strumentali che servono a creare un sottofondo musicale per le cavalcate dei surfisti sulle onde ( un po’ come lo skate punk di fine anni ottanta per skate e snowbarding) e da semplici progressioni di 3 accordi che riprendevano la lezione del primo rock’n’roll il surf fu caratterizzato da 2 ondate. La prima, più underground, viene inaugurata dai singoli di Dick dale ( tra cui la “Miserlou” che col successo di Pulp fiction accenderà la miccia del surf revival negli anni ’90) e dai futuristici strumentali di Chantays e Surfaris: sono artisti che per la prima volta cominciano a sperimentare con distorsioni e fuzz che diventeranno di lì a poco pane quotidiano del rock, proseguendo idealmente le sperimentazioni di Link Wray.

La seconda, di maggior portata commerciale, è quella che mette definitivamente la California sulla mappa musicale americana” è quella capeggiata dai Beach Boys. Fondendo le sonorità del surf con le armonie vocali del doo wop, i Beach Boys con “Surfin’” del 1961 divengono il fenomeno musicale più importante ( almeno dal punto di vista commerciale ) della prima metà degli anni ‘60, destinati ad essere scalzati per popolarità solo con l’avvento dei Beatles e della British invasion nel 1965.

Ma già con “Surfer Girl”, del 1963, la componente surf della loro musica sta andando scemando: comincia invece a spiccare il ruolo di Brian Wilson non solo come leader del gruppo, ma anche come produttore . Influenzato dal wall of sound di Phil Spector, Wilson crea, in un disco come “Today!”(1965) vere e proprie suite pop. Ma è dopo aver ascoltato “Rubber Soul” dei Beatles, del 1965, che la passione di Wilson si trasforma in vera a propria ossessione: il risultato di tale ossessione è noto a tutti ed è “Pet Sounds”(1966), capolavoro indiscusso del gruppo: meravigliosa sovrapposizione di voci, tastiere, archi, campanelli di biciclette, clavicembali, flauti, lattine di coca-cola e organi ronzanti che abbandona il percorso commerciale del gruppo ed intraprende la ricerca della melodia perfetta, creando un capolavoro di quel pop barocco di cui si parlerà più tardi…

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