The Wallflowers - Bringing Down The Horse (1996)

Lo spunto per scegliere il tema delle storie di musica di Settembre me l’ha data una notizia musicale britannica: a fine luglio al primo posto della classifica del dischi più venduti in Gran Bretagna c’è il disco di debutto di una band irlandese, gli Inhaler, che si intitola It Won’t Be Always Like This. Non mi ha colpito la notizia in sè, sebbene siano i ragazzi solo i terzi irlandesi negli ultimi 20 anni a debuttare in prima posizione, ma che il leader della band è il cantante e chitarrista Elijah Hewson, che è figlio di Paul Hewson, conosciuto nel mondo come Bono, leader degli U2. Prendo spunto da questo per raccontare a Settembre di bei dischi di illustri figli d’arte. Premetto subito che non ci sarà Grace di Jeff Buckley, apparso qualche mese fa nella serie dei dischi unici dei loro autori passati alla leggenda. Ma iniziamo con un altra storia niente male, che secondo me è paradigmatica di quello che un figlio di un grande musicista può fare nel mondo della musica. Perchè nel caso di oggi padre più illustre forse non c’è: Bob Dylan. L’ultimo figlio di Bob e Sara Lowds si chiama Jakob e a fine anni ‘80 si sente sufficientemente dotato di originalità e carisma per sfuggire ai paragoni, inevitabili con una leggenda così gigantesca come quella del papà, per fare musica. Mette su una band, che chiama The Wallflowers, dal nome comune in inglese di una pianta della famiglia delle crucifere, la violaciocca, che è usata frequentemente come bordura nei giardini. Eppure i più capziosi videro un riferimento ad un brano scritto dal padre, Wallflower, scritto per Doug Sahm nel 1972 e poi ripreso da molti artisti (tra cui una stupenda cover di Diana Krall). L’esordio discografico è con l’omonimo The Wallflowers, del 1992: è un buon esordio di roots rock di spiccata anima anni ‘70, con Jakob che scrive tutte le musiche (tranne una canzone accreditata alla band intera) e i testi, e alcune canzoni come Hollywood e Honeybee, che si allungano ben oltre la durata classica di un brano rock, sono molto interessanti, anche grazie al lavoro di un ottimo tastierista, Rami Jaffee. L’attesa, soprattutto per l’interessamento della stampa specializzata e dei media, è altissima ma il disco, sebbene più che dignitoso, vende poco. Questo porta a una sorta di pausa di riflessione e a continui cambi di formazione. Quando Dylan Jr. trova una certa stabilità con i musicisti (oltre a Jaffee, Greg Richling al basso, Tobi MIller e Michael Ward alla chitarra) manda demo di idee e qualche canzone a moltissimi produttori. Il fiuto di Jimmy Iovine, grande produttore e talent scout, li porta a firmare un contratto con la Interscope, e i ragazzi vengono messi sotto le cure produttive di T-Bone Burnett. Dylan Jr. gli presenta tutte le canzoni che ha scritto negli anni e Burnett ne è entusiasta, iniziando le registrazioni in alcuni dei più famosi studi di registrazioni di Los Angeles. La band non ha un batterista e la seconda chitarra, quella di Miller, abbandona per motivi personali. Avendo per una volta una produzione adeguata ed essendo pur sempre un Dylan, molti amici verranno ad aiutarli: Matt Chamberlain, che suonerà anche con il padre, alla batteria, e poi Mike Campbell alla chitarra dalla band di Tom Petty, Gary Louis dei Jayhawks, Fred Tackett, Sam Phillips (moglie di Burnett) e Adam Duritz, leader dei Counting Crows. IL suono è sempre quello del primo disco, ma stavolta curatissimo, rifinito e con un appeal straordinario. Ne escono fuori canzoni ottime, con i testi del giovane Dylan che parlano di difficoltà giovanili, di momenti di sconforto, di attese. Alcune diventano delle grandi hit: One Headlight (messa dalla rivista Rolling Stone nella lista delle 500 canzoni più belle di sempre), la meravigliosa 6th Aveanue Heartache (la prima canzone mai scritta da Jakob, su un senza tetto che viveva nei pressi della sua casa di New York, che quando scomparve fu saccheggiato dei suoi piccoli averi da altri), Bleeders, Three Marlenas (dal titolo meravigliosamente dylaniano). Tutto il disco è consistente, canzoni come The Difference e Laughing Out Loud o la ballatona Josephine sono perfette per l’airplay radiofonico. C’è pure un momento toccante nel ricordo del musicista ed ex membro del gruppo Leo LeBlanc, I WIsh I Felt Nothing, scritta mentre il musicista lottava contro il cancro. Questa volta il successo è davvero consistente: in classifica in mezzo mondo, vendite clamorose e addirittura 2 Grammy Awards nel 1997. Il giovane Dylan è consacrato ad essere una delle più promettenti e luminose stelle della nuova generazione rock. la band si prenderà altri 4 anni per realizzare il seguito, Breach (2000), che però si presenta al di sotto delle aspettative, smorzando un po’ la luce di un figlio illustre che ha tanto talento; nemmeno i successivi Red Letter Days e Rebel, Sweetheart (2002 e 2005) ripetono il successo e l’apprezzamento di Bringing Down The Horse, offuscando in parte il talento di un ragazzo che non ha avuto paura di sfidare sul campo il cognome più illustre della musica popolare del ‘900.

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