The Velvet Undeground & Nico - The Velvet Underground & Nico (1967)

La Verve è l’etichetta del jazz fondata da quel genio di Norman Granz a metà anni ‘50. Nel 1967 era una delle etichette più famose e rispettabili del panorama musicale quando si ritrovò a contratto una band di 4 giovani, che avevano due precettori niente male: Tom Wilson, l’uomo che scoprì Dylan, e Andy Warhol, il quale ingaggiava la band durante i party alla Factory, il suo laboratorio artistico, proiettando letteralmente addosso ai quattro musicisti delle immagini: da questo presero l’abitudine di suonare sempre con gli occhiali scuri da sole. La band in questione era composta da due studenti di letteratura, Lou Reed e Sterling Morrison, un giovane gallese con un bagaglio musicale classico e una viola elettrica, John Cale e una giovane batterista, dalla tecnica piuttosto basica, Maureen Tucker. Scelsero come nome il titolo di un libro del giornalista Michael Leigh, pubblicato nel 1963, che indagava per la prima volta le oscure e inconfessabili abitudini sessuali dei newyorkesi, tra cui lo scambismo, le pratiche sadomaso e così via: The Velvet Underground. Quella che è una delle band pilastro della leggenda rock è una parabola breve, strana e costellata di zero successo all’inizio. Buona parte di ciò si deve all’idea che la band aveva della propria musica: se tutto intorno furoreggiavano la musica di protesta, il flower pop, le abilità strumentali, Reed e compagni mettevano in musica il lato oscuro della vita, l’abuso delle sostanze, il rapporto ambiguo e misterioso con il sesso, la sperimentazione musicale. Il loro primo album è il fondamentale The Velvet Underground & Nico che uscì il 12 Marzo 1967. La copertina, uno dei simboli del rock, fu opera di Warhol: senza nome della band nè titolo del disco, aveva una banana che si sbucciava davvero (fu costruita una macchina apposita per creare gli adesivi) e lasciava alla vista un frutto dalla polpa rosa (e allusione meno diretta non esisteva): sia per il costo della realizzazione sia perchè un attore della Factory che appariva nelle foto interne fece causa per uso improprio della sua immagine, furono realizzate poche copie con l’adesivo, e visto anche “il successo relativo” del disco (di cui parlerò dopo), è uno dei pezzi più pregiati e ricercati dai collezionisti. Ma il vero shock è la musica: 11 brani divenuti tutti iconici, uno spaccato di vita nera e disperata, incentrata sulla musica iconoclasta e urticante della band, a cui Warhol affiancò l’algida voce e le idee di Nico (al secolo Christa Päffgen), la prima icona della musica goth. Nel disco ci sono tutti i brani già composti dalla band (che iniziò a suonare insieme da metà 1965) a cui Wilson aggiunse insieme a Reed altre idee; il disco fu registrato soprattutto allo Scepter Studios di Manhattan, in uno stabile che era destinato ad essere demolito, tra buchi alle pareti e pavimenti instabili, in soli quattro giorni (in realtà lo stabile fu ristrutturato e al primo piano si stabilì il mitico locale Studio ‘54). Norman Dolph, l’ingegnere di studio, volle essere pagato con un quadro di Warhol, Death and Disaster, che vendette per 17.000$ nel 1975 durante il suo divorzio (se l’avesse tenuto, adesso varrebbe milioni di dollari). Il disco si apre con la dolcezza di Sunday Morning, uno dei brani più usati nelle pubblicità di prodotti per bambini, per via della melodia che sa di giochi per neonati: in realtà è il risveglio da una notte di balordi e di eccessi; segue uno dei brani leggenda del rock, I’m Waiting For My Man: la storia di un uomo che va da Lexington 125 (la sede della Factory) ad Harlem, per comprarsi una dose da 26$, una delle canzoni che modellano il rock, che nella visione del Reed di quegli anni era un omaggio alla poetica di Dylan; Femme Fatale, altro classico, è la languida e disperata elegia d’amore che Reed dedicò a Edie Sedgwick, una delle muse di Warhol, amata da Reed ma anche da Bob Dylan, che le scrisse nientemeno che Just Like A Woman (la Sedgwick fu definita da una rivista dell’epoca “la donna che ha dato un senso alla calzamaglia oltre il teatro shakespiriano”). Il brano, cantato dalla voce di Nico, nasale e quasi misteriosa, sfocia poi in un altro capolavoro: Venus In Furs è un chiaro omaggio al romanzo Venere in Pelliccia di Von Masoch, un triangolo sadomaso puntellato dalla viola, quasi violenta, di John Cale, uno dei brani culto della band. Run Run Run è la prima canzone di Reed dove compaiono strani personaggi dai nomi bizzarri (Teenage Mary, Margarita Passion, Seasick Sarah, e Beardless Harry), forse transessuali, che vivono una Union Square luogo di incontri e spaccio. All Tomorrow’s Parties, cantata da Nico, era la canzone preferita di Warhol: una versione decadente e funerea di Cenerentola, ispirata a certi personaggi che frequentavano la Factory di Warhol. Nico canta anche la stupenda I’ll Be Your Mirror, forse il brano più “convenzionale” del disco, scritta da Reed per Shelley Albin, prima fidanzata di Lou, ma forse anche alla stessa Nico. Il disco non lascia niente dietro: senza tabù si parla della violenza dei gelosi in There She Goes Again (che utilizza il riff di chitarra di un brano di Marvin Gaye, Hitch Hike del 1962), sperimenta i suoni al limite del disturbo in The Black Angel’s Death Song (Sterling Morrison raccontò per anni che suonata per la prima volta in pubblico, furono licenziati in tronco dal proprietario del locale in cui si esibivano). Il disco si chiude con altre due perle, scure e drammatiche come tutte il resto: European Son è un omaggio sentito e meraviglioso di Reed e Morrison a Delmore Schwartz, professore di scrittura creativa alla Syracuse University, che gli fece scoprire il decadentismo francese, Baudelaire, i poeti russi e la forza dell’uso delle parole: un breve testo cantato sopra un convenzionale riff di chitarra e basso è come spezzato da un suono creato da John Cale trascinando una sedia di metallo sul pavimento e poi facendola sbattere violentemente contro una pila di piatti di alluminio, per poi esplodere in feedback, distorsioni, un incubo musicale che lascia senza fiato. Ma è un’altra la canzone leggenda di questo disco epico: Heroin è probabilmente la canzone definitiva sull’eroina, un racconto asettico e terribile dei gesti di chi si droga (l’ago nella vena, il sangue che scorre, l’euforia che ne consegue), con la musica che sale e scede con lo stesso probabile andamento delle sensazioni di chi si è iniettato l’eroina in vena: tuttavia Heroin è da considerarsi una canzone “a proposito” e non “a favore” dell’eroina, tanto che Reed per decenni si rifiutò di cantarla (aiutato in questo dal fatto che per anni la canzone fu bandita da numerosi Stati degli USA). Il disco all’epoca ebbe zero successo commerciale: non si sa nemmeno quanti dischi vendette davvero, chi dice 1000, chi 10 mila, chi 30 mila. Eppure è vero quello che Brian Eno disse al riguardo: È stata un'incisione talmente importante per così tante persone. Sono convinto che ciascuno di quelli che l’hanno comprato ha fondato una band. I VU scriveranno un altro disco leggendario, senza Warhol (White Light\White Head, capolavoro del 1968) ma poi perderanno Cale, che non compare già in The Velvet Underground del 1969, che è di fatto il primo disco di Lou Reed e con Loaded del 1970 Reed se ne va, sostituito da Doug Yule, ma siamo già in un’altra dimensione. Se qualcuno che non l’ha mai ascoltato verrà affascinato e convinto all’ascolto da quello che ho scritto me lo faccia sapere, per capire se fa ancora lo stesso effetto oggi di quello dirompente che fece oltre 50 anni fa.

Commenti

  1. Non ci crederai, ma ho visto questo tuo articolo dall'aggregatore di feed proprio mentre sto ascoltando questo CD. A volte la vita ci regala coincidenze incredibili.

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