Miles Davis - Sketches Of Spain (1960)
Lo ammetto, la scelta di oggi è dettata anche da una forma di refenzialità: perchè da quando ho iniziato a numerare le Storie Di Musica lui era già al #1, al #50 e al #100. Ecco perchè oggi si parla di Miles Davis. E anche nel disco di oggi, come nei precedenti, il grande musicista mette sul disco tutta la sua immensa immaginazione, tutta la sua creatività e soprattutto la sua voglia di fare qualcosa di nuovo, istanza che lo accompagnerà per tutta la sua vita musicale. Il disco di oggi, leggenda vuole, nacque da una serata dove la prima moglie di Miles, Frances Taylor, lo portò ad un balletto di Flamenco a New York. A Davis piacque moltissimo, e iniziò a parlarne con il suo amico, e fenomenale arrangiatore e musicista, Gil Evans. La collaborazione tra i due aveva già prodotto cose fantasmagoriche (tra le altre, The Birth Of The Cool, Miles Ahead, la collaborazione per quel capolavoro insuperabile che fu Kind Of Blue). Davis e Evans erano soliti ascoltare i dischi in una stanza apposita della casa di Evans, e da lì iniziare a pensare ai progetti futuri. Sketches Of Spain fu registrato tra la fine del 1959 (una sessione ad Ottobre) e gli inizi del 1960 (a Marzo), appena pochi mesi dopo Kind Of Blue, ed è il disco nato dalle quelle riflessioni, quei sogni, sulla musica di origine spagnola. Miles stavolta abbandona il magico sestetto per una formazione diversa, allargata ad una orchestra di fiati e con i fidati, e geniali, Jimmy Cobb alla batteria, Paul Chambers al contrabbasso e Elvis Jones alle percussioni. Davis stavolta prende dalla musica colta: il disco si apre con lo straordinario Adagio del Concierto de Aranjuez di Joaquín Rodrigo: ispirato al musicista spagnolo da una camminata nei fastosi giardini del Palazzo de Aranjuez, spettacolare dimora reale costruita dai Reali Spagnoli a Aranjuez, una cittadina a 50 km da Madrid. Davis e Evans mantengono quasi inalterata la partitura, solo che l’Adagio, divenuto celeberrimo perchè pezzo composto per chitarra e orchestra, qui viene suonato come pezzo per tromba e flicorno, di Davis, con un’orchestra di fiati. Il risultato è di una dolcezza e di magnificenza irreali, ma a Rodrigo non piacque tanto, e lo disse pubblicamente: in seguito Davis nella sua autobiografia sostenne, non senza una certa dose di sarcasmo, che Rodrigo non disdegnerò mai la montagna di royalties che gli furono corrisposte dal successo della sua cover. Altro brano epico e di derivazione colta è Will o’ The Wisp, nome stranissimo affibbiato ad una rivisitazione di un balletto, El Amor Brujo, scritto dal musicista Manuel de Falla: breve e intenso, ha un che di magico e di misterioso. Evans poi scrive tre brani autografi: The Pan Piper, ispirato all’atmosfera generale del disco, e poi due piccoli gioielli: Saeta prende spunto da un brano raccolto nell’antologia musicale dall’etnomusicologo Alan Lomax, e si ispira ai canti della processione del Venerdì santo di Siviglia: durante la processione dell’Addolorata che parte dalla Chiesa della Macarena, la processione si svolge nel più assoluto silenzio, fin quando, arrivato ad un dato punto, da balcone un uomo, un Seguiriya o martinete nello stile del cante jondo del flamenco, inizia a cantare a cappella una canzone dolorosa e di rispetto per il lutto della Madonna. Solea invece è un brano di origini peruviane. Dalle registrazioni non fu in un primo momento aggiunto Song Of Our Country, sempre a firma di Evans, che compare nella prima versione CD del disco, insieme a versioni differenti del Concierto di Aranjuez. Prodotto da Teo Macero, il geniale e fidatissimo produttore di Davis, il disco ebbe anche dei momenti difficili durante le registrazioni: molti musicisti, soprattutto i trombettisti, si lamentarono per la difficoltà delle partiture da eseguire, e chiesero a Evans di semplificarle, in questo senso con l’appoggio di Macero che stava con i sessionisti. Davis non volle intervenire, e anzi secondo la leggenda in quei giorni di registrazioni era davvero spaesato, forse per problemi privati. Il disco, come tutti i capolavori di Miles Davis, divise la critica: per alcuni, non era nemmeno jazz, ma “musica leggera d’alto bordo”, per altri fu invece il tentativo, l’ennesimo riuscito, di ampliare gli orizzonti del jazz. A distanza di 60 anni si può tranquillamente dire che ha prevalso la seconda, e Sketches Of Spain, oltre che essere un grande successo commerciale, è uno dei dischi più apprezzati di un genio assoluto, che alle critiche secondo il suo biografo rispose:” è musica e a me piace”.
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