Marianne Faithfull with Warren Ellis – She Walks in Beauty (2021)

 di Corrado Ori Tanzi

Vivere una vita di eccessi, violentare la voce con fumo e alcol (e fermiamoci qui), avere il proprio “coccodrillo” pronto nel cassetto di ogni redazione a celebrare l’ascesa e caduta della bionda più famosa della Swinging London perché insomma, prima un enfisema alla sua bella età e poi il ricovero in ospedale per Covid… 

E invece arrivare a settantacinque anni per raccontare. Raccontare nel modo più ostico possibile per l’ascoltatore moderno la sofferenza, gli aneliti di vita, il togliersela per mano propria, le sofferenze d’amori perduti e la bellezza del Creato di quei giovani poeti (gran parte passati all’altro viaggio senza diventare adulti) che fecero sublime e inarrivabile il Romanticismo poetico inglese dell’Ottocento.

Il canto è la parola

Stiamo parlando di Marianne Faithfull, l’artista per metà angelo e per metà diavolo, e del suo She walks in beauty, album che raccoglie poemi di Lord Byron (la title track), John Keats (Ode to a nightingale), Percy Bisshe Shelley (Ozymandias) e poi, tra gli altri, William Wordsworth, Thomas Hood e Alfred Tennyson.

Tracce recitate sopra un commento sonoro ideato nel suo complesso da Warren Ellis, arricchito dalle parti di piano scritte da Nick Cave e dagli impulsi impressionistici di Brian Eno, il cui registro si apre dai suoni volutamente più freddi rispetto alla profondità vocale ad arie calde che ben s’impastano con le suggestioni naturali dei cantori romantici, tanto amati dalla cantante londinese sin dalla sua primissima gioventù.

Una dizione superba

Ma per quanto i compositori siano di primissima sensibilità musicale, qui la scena è tutta della voce che, in un progetto come questo, in cui la cantabilità non prevede una nota cantata che sia una, si compone soprattutto di un parlato “sabbia e colla”, prendendo a prestito la storica definizione che David Bowie diede della voce di un noto premio Nobel.

Un reading di poesia, insomma. Marianne Faithfull imposta la recita con una dizione superba, ma (quasi) senza cambi di tono e abbellimenti nel colore. E l’ascolto, in particolare senza la conoscenza della traduzione delle liriche, si fa più che impegnativo. Non invitati gli orpelli, la recita s’appella alla pura essenzialità che si compone della sola vestizione orale delle strofe con lo spirito che le strofe stesse suggeriscono.

Inchinarsi ai poeti

Faithfull è ora delicata ora più cruda, ora disperata ora più rassegnata, ma sempre attenta a modellare il suono come se si trovasse all’interno dell’animo dei suoi cari poeti. 

Ellis, Cave ed Eno le ricamano la scena con la maestria della fascinazione, senza che il pentagramma traduca corpo sonoro principale e arrangiamenti in seduzione. A quello ci pensano i versi di quegli uomini meravigliosi. A cui un’artista ugualmente meravigliosa s’inchina per estrarne il soffio vitale.

Un disco evidentemente non per tutti. Che si deve ascoltare e non sentire. La differenza non è nota ai più, capisco. Ma anche l’estasi è per pochi. 

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