Mary Lou Williams - Live At The Cookery (1975)
Se pensiamo al jazz femminile, la prima connessione, quella più immediata, ci porta alle mitiche voci soliste, da Billie Holiday, l’Angelo di Harlem a Nina Simone, da Sara Vaughan a Ella Fitzgerald, da Betty Carter a Etta James, solo per citare le prime che mi vengono in mente. Ma c’è una figura del jazz al femminile che ha attraversato 70 anni di storia jazz, contribuendo in maniera silenziosa ma formidabile a tutte le grandi trasformazioni del jazz in tutti quei 7 decenni. Mary Elfrieda Scruggs ha 5 anni quando, appassionandosi alle prove che suo padre e i suoi amici pianisti facevano sul pianoforte di casa, inizia ad innamorarsi dello strumento, che impara a suonare ad orecchio. Ha 13 anni quando si esibisce nel primo spettacolo di vaudeville al piano, e ne ha 16 quando si sposa con il sassofonista John Williams, cambiando il suo nome in Mary Lou Williams. Inizia così la carriera di quella che è considerata la più lunga nella storia del jazz, caratterizzata da un esecuzione limpida e sofisticata, una grande passione per gli arrangiamenti e soprattutto una immensa e definitiva libertà artistica e personale, che le faranno fare scelte nient’affatto scontate. La prima grande esperienza agli inizi degli anni ‘30 nella band di Andy Kirk, dove suona con e conosce alcuni dei giganti di quegli anni (Lester Young, Ben Webster,Charlie Parker tra gli altri) associando l’esecuzione solista al pianoforte con nuovi e frizzanti arrangiamenti che iniziano a diventare un marchio di fabbrica. Tanto è che poco dopo, appena poche settimana dall’essersi lasciata con Williams e aver sposato Harold Baker in seconde nozze, inizia a suonare con Art Barkley e il divino Duke Ellington. Eppure il suo spirito libero e la sua voglia di affermazione la spinge ad abbandonare la big band di Sir Duke e spostarsi prima a New York, dove nella sua casa di Harlem discute e compone con altri giganti, tra cui Thelonious Monk, Tadd Dameron Dizzy Gillespie. In maniera pionieristica avvia un viaggio lunghissimo in Europa, ad inizi anni ‘50, avrò una profonda conversione religiosa negli anni ‘60, suonerà nei ‘70 il free jazz con Cecil Taylor. Con lo spirito curioso e intraprendente, la Williams ha pigiato tasti nelle più profonde rivoluzioni del jazz. Pur non essendo una virtuosa, il suo stile pulito, sofisticato, delicato, è bellissimo da sentire. Il disco di oggi ne è la conferma piena: The Cookery Club è un ristorante con palco per i live tra l’8.a e la University St a New York, uno dei templi del jazz elegante. Nel Novembre 1975 Mary Lou William suona per tre sere a settimane accompagnata solo dal contrabbasso di Brian Torff , e ne esce da una serata particolarmente ispirata questo LP, Live At The Cookery, che sarà stampato in CD la prima volta nel 1990 e in una versione rimasterizzata nel 1994 (che è il mio disco di riferimento in collezione). Va detto che la qualità del suono non è perfetta, ma l’esecuzione della Williams e il repertorio a dir poco antologico ne fanno un disco meraviglioso, perfetta espressione delle cose dette fin qui. In scaletta 12 brani, 5 a firma Mary Lou Williams, gli altri sette che spaziano i decenni del jazz, arrangiatati nel modo delicato e amorevole della pianista. Tra gli autografi, le spettacolari Praise The Lord, originariamente presente nell’album Zoning (1974) il suo più grande successo discografico, poi le altrettanto belle Blues For Peter, Roll’Em e l’incalzante Waltz Boogie. Tra le rielaborazioni, si passa da I Can’t Get Started di Vernon Duke e Ira Gershwin, si passa a The Jeep Is Jumpin' di Duke Ellington, Johnny Hodges, Billy Strayhorn, per poi andare nei super classici: My Funny Valentine (Lorenz Hart / Richard Rodgers), The Surrey With The Fringe On Top (Oscar Hammerstein II / Richard Rodgers), The Man I Love (di George Gershwin e Ira Gershwin, particolarmente emozionante), la storica Mack The Knife della coppia Kurt Weil / Bertold Brecht e addirittura All Blues di Miles Davis (dal capolavoro leggendario Kind Of Blues) per concludere la serata, tra gli applausi del pubblico, con A Grand Night For Swinging, pezzo della band del chitarrista jazz Mundell Lowe che la registrò nel 1957. La Williams muore nel 1981, a 65 anni dal suo debutto sulle scene: ha lasciato un segno forse non spettacolare, ma lungo, sincero e solido, nella storia del jazz.
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