Van Der Graaf Generator - Pawn Hearts (1971)

Quando nel 1967 un gruppo tra i più influenti e magnifici della storia del rock europeo scelse come nome una sua invenzione, il fisico americano Robert Van De Graaff è appena scomparso. La sua invenzione, il generatore di Van De Graaff (un generatore elettrostatico in grado di accumulare una notevole quantità di carica elettrica in un conduttore, creando tra questo ed un elettrodo di riferimento, solitamente messo a terra, un'altissima tensione) fu lo spunto per un gruppo di studenti universitari di fisica e scienze per nominare la loro band: per un errore di stampa però la prima pubblicazione esce come Van Der Graaf Generator, ma Peter Hammill (voce e chitarra), Nick Pearne (tastiere) e Chris Smith (batteria) sono contenti lo stesso. In breve Pearne e Smith se ne vanno e vengono sostituiti da Robert Banton (organista e polistrumentista, un genio) Keith Ellis (basso) e Guy Evans (batteria). I Van Der Graaf sono pieni di idee e di tensioni e dopo The Aeresol Grey Machine Ellis se ne va e subentrano Nic Potter al basso ma soprattutto David Jackson con il suo sax. Inizia qui la parabola di uno dei gruppi più visionari della musica non solo progressive, ma di tutta la storia del rock. In un mix unico e particolarissimo di jazz, psichedelia, musica d’avanguardia (con ben più di uno sguardo alla musica concreta) che si fonde con i testi crepuscolari e mistici di Hammill, il gruppo inizia ad avere una numerosa schiera di appassionati, affascinati dal suono unico dei Van Der Graaf. The Least We Can Do Is Wave To Each Other e H To He, Who Am The Only One (entrambi 1970) ottengono ottimi consensi di critica e pubblico, ed ammaliano per il tessuto strumentale avvincente e a tratti davvero estremo, con le incursioni di sax di Jackson che diventeranno un marchio di fabbrica (in Killer, per esempio) e la voce di Hammill, a tratti spettrale, che canta di dimensioni dark e di un malessere generale dell’umanità. Il tutto si condensa nel disco di oggi, il cui titolo, Pawn Hearts, nasce da uno spoonerismo che Jackson una volta pronunciò: "I’ll go down to the studio and dub on some more porn harts“ intendendo horn parts (parti di strumenti a fiati) che incuriosì anche Paul Whitehead, il designer delle copertina della Charisma ed una delle firme del progressive dell’estetica delle copertina, che incapsulando le pedine di una scacchiera nello spazio voleva sottolineare come in certe situazioni non si è che pedine nelle mani di potenze superiori. Musicalmente, l’album è di una bellezza sofisticata e audace, che mai nessuna band aveva mai sperimentato. In scaletta originale appena tre brani: due lunghissimi diventati di culto, Lemmings e Man-Erg, la seconda facciata dominata dai 23 minuti di A Plague Of Lightouse Keepers, suite radioattiva e totale della band. Lemmings prende spunto dal mito del suicidio di massa dei lemmi, piccoli roditori che vivono nelle zone polari, e che diviene metafora ardita per Hammill per raccontare il disagio del progresso (in realtà il suicidio dei lemmi è una pura invenzione, scaturita da un passaggio di un documentario della Disney dove si vedevano decine di questi roditori che saltavano in un fiume). Man-Erg, brano epico dalla spettacolare introduzione pianistica, parla della bipolarità dell’uomo moderno:”L'assassino vive dentro di me, riesco a sentirlo muovere (…) Gli angeli vivono dentro di me, riesco a sentirli sorridere. Ma l’apoteosi dei Van Der Graaf è nella suite, la storia dei guardiani del faro e dei loro rimorsi sul non poter salvare tutti i naviganti. La voce di Hammill, pazzesca, cambia registro e vocalità più volte, tanto che al primo ascolto sembra di ascoltare più cantanti, e racconta dei tornenti di questi uomini, ennesima metafora drammatica di un repertorio da questo punto di vista quasi “non consumabile”:Sto ancora aspettando il mio salvatore, le tempeste fanno a pezzi i miei arti (…) Sono un uomo solitario, la mia solitudine è reale, i miei occhi hanno prodotto una nuda testimonianza e ora le mie notti sono contate. La musica incede drammatica, con cambi di ritmo, misura musicale, chiavi armoniche, in un flusso di coscienza memorabile e che anticipa in certi passaggi il punk, gli sviluppi della musica elettronica, la new wave per uno dei brani chiave della musica progressive. Alla chitarra in tre brani un amico dei nostri, Robert Fripp dei King Crimson e nell’edizione americana del disco era inserita Theme One, favoloso strumentale conosciutissimo ancora oggi opera di George Martin, il grandioso produttore dei Beatles. Un disco così impegnativo che chiedeva un coinvolgimento totale all’ascoltatore rimane in classifica in Italia per 12 settimane, addirittura al numero 1, decretando il nostro paese come uno dei preferiti dalle band progressive. Dopo una fatica del genere, il gruppo ufficialmente si scioglie, ma di fatto suona compatto per i dischi solisti di Hammill, dove le sperimentazioni sono molto meno ardite e si predilige più l’innato suo lirismo, con risultati spesso meravigliosi: cito i fondamentali Chameleon In The Shadow Of the Night del 1973 e The Silent Corner And The Empty Stage del 1974 che di fatto è un disco da affiancare alla produzione Van Der Graaf, che si riuniranno nel 1975 per una trilogia che è bella, ma non arriverà mai a sondare quegli spazi che Pawn Hearts ha fatto, indicando una strada che nessuno più ha voluto percorrere.

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