Shawn Phillips - Second Contribution (1971)
Se esistesse una fantomatica classifica degli artisti più talentuosi ma più dimenticati, l’artista di oggi starebbe, a mio parere, nelle prime posizioni. Shawn Phillips è semisconosciuto ai più, nonostante sia uno dei più grandi cantautori degli ultimi 50 anni. Texano, Shawn è figlio di uno scrittore e giornalista, James Atlee Phillips e nipote di un pezzo grosso della CIA, David Atlee Phillips, che fu accusato di essere uno dei cospiratori che armarono la mano di Lee Oswald per uccidere il Presidente Kennedy, accusa che fu ritrattata. Vive una infanzia ed una adolescenza avventurosa, passando di Stato in Stato, e acquisendo una passione per la chitarra, soprattutto per quella a 12 corde, di cui diventerà un virtuoso. Esordisce come cantante nel 1964 con I’m A Loner, primo disco in cui esibisce la sua abilità con la chitarra. Si trasferisce giovanissimo in Inghilterra, dove a metà degli anni ’60 è strettissimo collaboratore di Donovan: con il folletto gallese suonerà nei dischi degli anni ‘60, alcuni davvero di grande successo come Fairytale, Sunshine Superman e Mellow Yellow, e Donovan gli riconoscerà la paternità di uno dei suoi classici, Season Of The Witch, una delle canzoni del decennio. Phillips è corteggiatissimo come session man e cantante per i concerti dal vivo, partecipa addirittura allo storico Festival sull’isola di Wight nel 1970. È anche tra i papabili protagonisti della trasposizione cinematografica di Jesus Christ Superstar, ruolo a cui però rinuncia. Insieme al suo amico, e collaboratore musicale, Paul Buckmaster (violoncellista nella Third Ear Band e su On The Corner di Miles Davis, e nel palmares arrangiatore per Elton John, per Space Oddity di David Bowie e nel leggendario Sticky Fingers dei Rolling Stones), aveva in mente un progetto, dalle premesse sensazionali, insieme ad Eric Clapton sul blues acustico, purtroppo mai venuto alla luce. Dalla metà degli anni ’60 si trasferisce a Positano, dove vive per anni, definiti da lui indimenticabili, quando la perla della Costiera Amalfitana era un villaggio di pescatori, lontano dal glamour di oggi. La musica di Phillips non è un semplice folk rock “classico”, ma parte dalle sue abilità chitarristiche per aprirsi a contaminazioni jazz, funky, addirittura progressive, che si uniscono alla sua voce austera ed ammaliante, un prodigio della natura capace di cambiare registro in un lampo. Il primo grande disco è del 1970, pensato e scritto a Positano, e si intitola Contribution: i 7 brani, magici, magnetici, rendono giustizia alla sua poesia e alla sua capacità, per me unica, di emozionare. Da ricordare lo stupendo brano Man Hole Covered Wagon, dall’inizio country e vivace. L’album non entra il classifica, ma ottiene giudizi molto positivi, e spinto dalla sua casa editrice, la A&M, nello stesso anno Phillips registra la prosecuzione di Contribution. Second Contribution, che uscirà nel 1971, ha una magica copertina, dove Phillips, come un mago misterioso, è ripreso di spalle, in mantello nero, capelli lunghi perfettamente allineati, e imbraccia la sua preziosa chitarra, in un paesaggio desertico. Musicalmente il disco è invece di una floridità sensazionale. Con la preziosa e sontuosa produzione di Buckmatser il disco si apre con il primo grande gioiello: She Was Waiting For Her Mother At The Station In Torino, And You Know We Love You Baby, But It’s Getting Too Heavy To Laugh (a lungo detentore di “titolo più lungo nella storia della musica”), conosciuto come Woman, è brano mozzafiato, dal testo profondissimo e poetico e dalla melodia emozionante, che strizza l’occhio alla musica nera e al rock più sofisticato. La varietà dell’album è sorprendente, a partire da uno strumentale memorabile, F Sharp Splendor, e Phillips spinge l’acceleratore musicale con Keep On e Sleepwalker, torna rockeggiante in Song For Sagittarians che si unisce a Lookin' Up Looking' Down in un mix tra Stax sound e il pop più sofisticato, è quasi epico nella stupenda Schmaltz Walts, è delicato nella conclusiva Steel Eyes, storia di un amore fuggiasco ed estemporaneo, che ha un bellissimo verso finale:”è stato bello, sulla strada del ritorno, che tu mi abbia desiderato/amore fugace, addio”. Ma l’album è conosciuto per la sensazionale The Ballad Of Casey Diess, che leggenda vuole sia basata su una storia tragica vera capitata ad un suo amico: testo con echi ed allegorie mitologici, la sua chitarra magica, la voce mai così mistica e profonda, con finale che cresce di intensità, ne fanno un capolavoro assoluto. Phillips pubblicherà una terza parte italiana, Collaboration (1971) altrettanto bello e con almeno due brani notevolissimi (Moonshine e la bellissima Springwind). La sua carriera continuerà con buoni album per tutti gli anni ’70, mantenendo un buon livello complessivo e con collaborazioni prestigiose (Burt Bacharach ed altri). Poi negli anni ‘80 un quasi silenzio assoluto. Continuerà anche a viaggiare, stabilendosi prima in Sudafrica, dove farà il vigile del fuoco, per poi tornare nel Kentucky, negli Stati Uniti. Oggi continua a fare concerto dal vivo e a riproporre i suoi classici. Bill Graham, il più grande impresario del rock e papà dei due teatri Fillmore (East e West) lo definì “Il più grande segreto celato dal music business”. In una intervista di anni fa alla domanda “Qual è l’aspetto più straordinario dell’essere un artista?” rispose: Essere consapevoli di possedere l’abilità per creare qualcosa che nessun altro avrebbe potuto creare. E le sue abilità sono state grandissime. Da scoprire.
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