Nuova Compagnia Di canto Popolare - La Gatta Cenerentola (1976)

Poche città posso vantare un legame alla musica come Napoli. Vuoi per il fascino misterioso e incredibile della città, vuoi per il mito esotico che da sempre la segue, essendo stata per secoli fulcro culturale europeo e del Mediterraneo, la musica napoletana rappresenta un unicum. Come altre cime della cultura partenopea, anche la musica vive del miscuglio tra colto e popolare, tra accademico e farsesco, tra saloni di balli e danze di strada. Tra l’altro la storiografia della musica individua proprio nella nuova canzone napoletana dell’Ottocento uno dei primi movimenti di musica “pop” in senso avanguardista, aiutato anche dall'incredibile fortuna degli spartiti prima e delle prime incisioni poi, che renderanno i classici della canzone napoletana dei veri e propri successi internazionali, cantati e suonati in tutto il mondo. Accanto a questi però, esisteva una tradizione di musica folk incredibilmente variegata e interessante, che prendeva spunto non solo dalla commistione di cui sopra, ma anche dalle tradizioni delle dominazioni storiche e culturali che si erano sedimentate a Napoli in secoli di regni e protettorati stranieri. A questo fine nacque nel 1967 un gruppo musicale su iniziativa di Eugenio Bennato e Giovanni Mauriello, a cui si unirono Lucia Bruno, Mario Malavenda, Claudio Mendella e Carlo D’Angiò, che propose il nome di Nuova Compagnia Di Canto Popolare (anche in acronimo NCCP). I primi progetti prendono però forma vera e compiuta solo qualche anno più tardi, all’inizio del 1970, quando nella formazione arrivano le voci di Peppe Barra e Fausta Vetere e la consulenza e l’organizzazione di Roberto De Simone, musicologo, compositore, studioso della musica popolare del Sud Italia. Inizia così una delle avventure musicali e discografiche più significative di quello che sarà il “folk italiano”, che avrà seguito inaspettato, tanto che persino Canzonissima in quegli anni aveva uno spazio per le canzoni della tradizione popolare. Nel 1971 danno alle stampe Nuova Compagnia Di Canto Popolare: in repertorio la reinterpretazione di musiche del ‘500, le famose villanelle, che riporteranno in auge dopo secoli di oblio, le tarantelle che proprio in quegli anni si stavano riscoprendo anche grazie agli studi di Ernesto De Martino sui “tarantolati” e un brano, Lo Guarracino, canzone d’amore del ‘700 che parla di un pesce innamorato (il guarracino è un piccolo pesce di colore scuro tipico dei bassi fondali campani) diventerà famoso e darà il nuovo nome alla ristampa dell’album per la Ricordi (con bellissima copertina). Inizia qui un periodo di intensissima attività: non solo dischi, tra cui nel 1974 il meraviglioso Li Sarracini Adorano Lu Sole che contiene le splendide In Galera Li Panettieri, Ricciulina ma soprattutto Tammuriata Nera, ma anche teatro, con la grande affermazione di critica e di pubblico con la messa in scena de La Cantata Dei Pastori, e concerti che li porteranno in tutto il mondo (testimonianza ne è il disco che raccoglie esibizioni dal vivo del 1978 Aggio Girato Lu Munno). E proprio verso il teatro che, spinti da De Simone, il gruppo si muove, e il loro capolavoro fu pubblicato nel 1976 come disco, e prodotto come opera teatrale con prima al Festival Dei Due Mondi di Spoleto. La Gatta Cenerentola è un’opera in tre atti che si basa sul racconto contenuto ne Lo Cunto de li Cunti ovvero lo trattenemiento de peccerille, una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile, edite fra il 1634 e il 1636 a Napoli. L'opera, nota anche con il titolo di Pentamerone (cinque giornate), è costituita da 50 fiabe, raccontate da 10 novellatrici in 5 giorni, in omaggio al Decameron boccaccesco, e nonostante il titolo le tematiche non sono affatto infantili, sia per la complessità dei temi sia per il linguaggio schietto e allusivo dei testi. De Simone aggiunge personaggi, “attualizza” alcune tematiche pur restando nell’ambito di una Napoli barocca, caravaggesca nei luoghi e nelle situazioni, dove si spiega al massimo quella commistione alto basso dei temi, delle musiche, dei personaggi. In scaletta 20 pezzi, spesso dialoghi cantati dei personaggi, che variano tra le famose villanelle, qui affiancate da moresche ( forma di pantomima mascherata, probabilmente dal nome di origine crociata o quantomeno del basso mediterraneo), e le famose tammuritate (la più famosa espressione musico-coreutica della Campania). Alcuni brani, come Jesce Sole, sono riprese da lavori precedenti e rielaborati anche nella lingua napoletana usata per l’opera, un mix magico e particolarissimo di lingua dell’epoca con elementi modernissimi, che mostrano in maniera definitiva l’incredibile capacità del napoletano (inteso come lingua) e dei suoi parlanti a prendere termini e suoni dalle altre lingue. La prima dell’opera al Festival di Spoleto, diretta da Domenico Virgili, divenne un successo, con 175 repliche nei primi anni: da allora è un classico, con produzioni in tutto il mondo. Quest’opera centrale e magnifica fu però il canto del cigno del gruppo storico: De Simone e Barra si allontanano per dedicarsi al teatro, Bennato, che al teatro non vuole guardare, continuerà il recupero musicale e la rielaborazione delle musiche popolari del Sud con i Musicanova: ma gli NCCP non scompaiono, anzi hanno un nuovo vigore tra fine anni ‘80 e ‘90, con una nuova ondata di interesse per la musica popolare, e pubblicano uno splendido disco, Medina (1992) con il perno della voce di Fausta Vetere, che diventerà uno dei più bei dischi europei di “world music”. Oltre il pittoresco e la gioia “manualistica” dello spirito partenopeo, questo disco rimane uno dei più importanti esempi di ricerca, di rielaborazione, di rispetto per una tradizione immensa e inestimabile, che vive nelle tradizioni delle nostre regioni, e che aspettano solo di essere conosciute.

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