Tool - Ænima (1996)

La letteratura è stata spesso fonte di ispirazione per la musica, e la lista di artisti che ne hanno tratto per fare rock è infinita: da Il Signore degli Anelli alla Bibbia, da Steinbeck alle saghe vichinghe. Ma nessuno si era spinto fino a tanto: prendere cioè uno dei punti centrali della teoria di Carl Gustav Jung, anima e animus (termini utilizzati dallo psicanalista svizzero nei suoi lavori sull’inconscio collettivo) e incrociarli con enema (che tra l’altro in inglese di pronuncia quasi come anima, e che vuol dire clistere) per creare una combinazione alquanto eccentrica del concetto di catarsi, cioè una evacuazione che oltre che spirituale è ovviamente necessariamente fisica. Forse mai nessuno come James Maynard Keenan, cantante e leader dei Tool, aiutato da musicisti straordinari quali Adam Jones (chitarra), Justin Chancellor (basso), Danny Carey (batteria, uno dei più grandi di tutti i tempi), si era spinto a tanto, e va sottolineato come tutto il dualismo sia sottilmente ironico, ma non meno devastante, per indagare gli orrori quotidiani degli Stati Uniti. Il disco quindi ha una doppia lettura: dal punto di vista musicale, è come se i King Crimson o i Van Der Graaf Generator fossero stati proiettati nell’età del grunge essendo però passati per una sessione di musica elettronica e industriale: il risultato è un mix potentissimo di metal, jazz, progressive, con atmosfere sia cupe che sognanti, amplificate dalla seconda lettura; il disco, dedicato alla memoria del grande comico americano Bill Hicks (amico di Keenan e scomparso durante la la lavorazione del disco) è un divertissement continuo, che lambisce aspetti davvero eccentrici della vita delle persone raramente affrontati dal rock. Ænima esce nell’ottobre del 1996, e lascerà il segno nella musica heavy, quasi scavando un prima e dopo, anche grazie al lavoro in produzione di David Botrill, che regala al suono che la band aveva già mostrato in Opiate (1993) e Undertow (1993) una dimensione di tensione ad ogni passaggio con coraggiosi inserti e ricordi progressive da pelle d’oca. Il disco parte con l’epocale Stinkfist, un brano che parla apertamente di fisting, e rimane un mistero su cosa avessero capito i vertici di MTV quando mandarono il video in heavy rotation, soprattutto perchè il testo lascia pochi spiragli di interpretazione: Finger deep within the borderline\Show me that you love me and that we belong together\Relax, turn around and take my hand (...) Knuckle deep inside the borderline\This may hurt a little but it's something you'll get used to\Relax Slip away (e per la cronaca manco finisce qui...); per rimediare la rintitolarono Track#1. E non meno potente e ambigua è Eulogy, che sottende a misteriosi cadaveri che ricordano quello di un uomo crocifisso, per non parlare di H. devastante, che per il testo scatenerà le illazioni dei fan-esegeti della band. Tutto il disco dissemina misteri musicali per la gioia dei fan-esegeti: come Message To Harry Manback (si aprirono i primi siti Internet per capire chi fosse questo tizio), il significato di Forty Six & 2 (che si dice ispirata all’idea che il prossimo mutamento genetico evolutivo porti il numero di cromosomi a 46 più i 2 sessuali al posto dei 44 attuali) oppure a chi fossero indirizzate le invettive contro lo show business di Los Angeles di Ænema, che contiene anche degli stralci degli spettacoli di Hicks (e che vinse il Grammy come miglior canzone Metal ai Grammy del 1998). Il disco è un continuo motivo di curiosità, anche per gli intermezzi strumentali che fanno da ganci tra i brani, come il grammofono ansiogeno di Useful Idiot, la musichina da time-out di Intermission, il pianto di un neonato di Cesaro Summability. Il disco non lascia niente al caso: viene preso a maleparole (letteralmente) un fan che li aveva pubblicamente accusati di essersi venduti nella terrificante (per il tono e la potenza sonora) Hooker With The Penis, che esprime in maniera definitiva questo clichè del non poter essere liberi artisticamente così: All you know about me is what I've sold you\Dumb fuck\I sold out long before you ever heard my name\I sold my soul to make a record\Dip shit\And you bought one. Ancora più clamore ebbe Die Eier von Satan: una canzone apocalittica, registrata in pieno stile Neue Deutsche Härte, con innesti industrial e meccanici, “declamata” in tedesco da Marko Fox, bassista degli Zaum: se l’incedere musicale e il tono della voce sembrano dall’aspetto un mix tra un inno nazista e una messa nera, in realtà è la lettura di una ricetta di un piatto tedesco, un dolce chiamato “le palle di Satana”, e che nel tragicomico finale “und Keine Eier” (e niente uova) arriva a vette incredibili. Un ultimo momento per ricordate i 14 minuti totali di Third Eye, omaggio a Hicks e alla sua idea che l’uso sistematico di droghe (soprattutto di funghi allucinogeni) aprisse un terzo occhio mentale: la canzone è una summa dell’idea del disco e della musica che i Tool stavano costruendo. La copertina del disco, misteriosa e sinistra come tutto il resto, usava i lavori psichedelici di Cam de Leon, e include all’interno una famosa foto della band con annessa contorsionista, Alana Cain, con le gambe legate dietro la testa. Il disco venderà moltissimo, aprendo al grande pubblico il mondo sinistro, e affascinante, di questa incredibile band.

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