Keith Jarrett - The Köln Concert (1975)

La sera del 24 gennaio 1975, alle ore 23:30, orario strano per un concerto, presso la Oper der Stadt Köln (siamo a Colonia) un giovane pianista è chiamato sul palco. Ad organizzare l’evento speciale c’è una giovanissima promoter, poi produttrice e artista visuale, Vera Brandes, che all’epoca ha solo 18 anni. Il suo intento era di allargare la fruizione musicale nel teatro oltre l’opera e la musica sinfonica, e l’orario si spiega proprio perchè quel pianista saliva sul palco dopo un’esecuzione orchestrale sinfonica. Quel pianista quella sera aveva mal di schiena, non aveva digerito bene ma soprattutto non aveva trovato il pianoforte Steinway & Sons che aveva richiesto. La Brandes, sapendo che quel pianista non era nuovo a clamorose figure da prima donna, durante le prove pomeridiane gli fa provare due Bösendorfer: uno di quei due può andare. Quel pianista è Keith Jarrett, astro nascente del jazz, già stretto collaboratore di Miles Davis ( suona con lui nello storico Miles Davis At Fillmore East e in altri dischi, tra il 1969 e il 1970), di Charles Lloyd, ed è stato nella primissima formazione dei Jazz Messenger. L’esibizione di Colonia faceva parte di un Tour europeo organizzato da Manfred Eicher, il geniale e leggendario fondatore della ECM (Editions Of Contemporary Music) che quella sera chiamò il suo più bravo ingegnere del suono, Martin Wieland, a piazzare microfoni e a registrare l'esibizione. Jarrett è inquieto, fisicamente è provato dai dolori alla schiena, per i frequenti spostamenti in auto per le date dei concerti. Ma sale sul palco. Dove però non trova il Bösendorfer che aveva provato nel pomeriggio, ma l'altro scartato: nessuno ha mai saputo spiegare il perchè. Vera Brandes ha i nervi a fior di pelle, Eicher è sicuro che Jarrett avrebbe fatto una scenata, ma quel pianista si siede al suo sgabello e inizia a “conoscere” lo strumento. Lo accarezza piano, poche note in sequenza per prendere confidenza, per andare oltre il fatto che non è accordato perfettamente, soprattutto sugli acuti, che il pedale non funziona sempre come vuole il suo piede. Eppure le note si susseguono, in una magia che piano piano cresce, come il coinvolgimento dello stesso pianista, che accompagna la sua esecuzione con sbuffi, respiri profondi, quasi di gouldiana memoria. Quello che ne esce fuori sono 66 minuti e 5 secondi di magica, incredibile e irripetibile improvvisazione musicale: basandosi su quello che i jazzisti chiamano vamp, cioè un motivo musicale di poche note, con due-tre accordi costruisce lunghissimi assoli delicati, che spaziano dal jazz, al gospel, che accennano al blues e che si diluiscono in movimenti classici. Cita anche l’inizio della melodia che l’Opera di Colonia usava per dare il silenzio agli spettatori in vista dell’inizio dell’esecuzione, e qualcuno dal pubblico se ne accorge e scappa una risatina (che si sente perfettamente nella registrazione). L’intero concerto fu per motivi discografici diviso in 3 parti, da 26,33 e 7 minuti: la prima parte, la cosiddetta Part I, è la più conosciuta, sia per l’intro magnetico e al limite del brivido musicale, sia perchè è stata usatissima in film (una scena struggente di Caro Diario di Nanni Moretti), documentari e pure pubblicità (una della BMW di qualche anno fa). La sezione da 33 minuti fu divisa in due tronconi, Part II a (da 14:54) e Part II b (da 18:13) mentre il bis finale, dove Jarrett rielabora alcuni spunti dell’esecuzione, è denominata Part II c. Sin da subito, anche prima della pubblicazione del disco, che avviene nel Novembre del 1975, si sparge la voce di questo momento indimenticabile. Il successivo, incredibile, riscontro di pubblico, che fa di questo disco con oltre 4 milioni di copie il disco jazz solista più venduto della storia, spinse molti a chiedere a Jarrett una trascrizione dell’intero concerto. Alcuni detrattori non credettero mai all’impulso di creazione improvvisata del nostro: Jarrett in tutta risposta per anni non concesse mai la sua approvazione, salvo poi fare una parziale marcia indietro dando via libera ad una trascrizione per chitarra classica: parziale perchè in molte parti del concerto la trascrizione è impossibile dato che la musica non segue una metronomia tradizionale. L’elegante e ormai iconica copertina, di classe come tutte quelle della ECM, è opera di Barbara e Burkhart Wojirsch: ferma un istante di una performance che sebbene nata sotto i peggiori presagi, ha lasciato in una magica notte tedesca, una delle più creative, impressionanti ed emozionanti opere che un musicista abbia mai fatto.

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