Fabrizio De Andrè - Le Nuvole (1990)
Sono passati vent’anni dalla sua scomparsa, ma sembra ieri. In questo periodo ho pensato a Fabrizio De Andrè per due motivi, che in modi diversi l’avrebbero fatto intimidire, lui timido di natura. Il primo motivo è sapere la sua risposta al fatto che il Ministro che indossa sempre divise militari lo ha messo nel suo Pantheon musicale. Il secondo, più importante e vivo, è il sapere la sua risposta all'immenso amore, l’ammirazione e la gratitudine che una nazione intera gli hanno tributato in questi venti anni, con tantissime strade, piazze e addirittura scuole a lui dedicate. Io voglio ricordarlo con questo disco della sua maturità artistica, tra i suoi più grandi. Esce nel settembre del 1990 a ben sei anni da quell'esperimento pazzo ma straordinario che fu Crêuza de mä del 1984, pensato, scritto e suonato insieme a Mauro Pagani. Quel disco cantato in genovese e in dialetto ligure segnò fortemente il panorama musicale europeo, dando un impulso decisivo nella riscoperta, a quei tempi all'inizi, delle musiche regionali. Per questo ritorno musicale De Andrè richiama Pagani, ma cerca anche un appiglio ai suoi lavori di fine anni ‘70, quelli che nacquero dopo il rapimento in Sardegna insieme alla compagna Dori Ghezzi. Le Nuvole prende spunto dalla lettura della commedia di Aristofane e si divide in due sezioni distinte e precise. Il lato A si apre con la suggestiva title track, un tappeto sonoro delicato e sentimentale dove le voci di due donne, Lalla Pisano e Maria Mereu, interpretano un testo che parla della natura e delle forme delle nuvole del cielo. Si passa poi a Ottocento, un pezzo scherzoso “falsamente colto” (parole di Fabrizio) che si rifà all’opera lirica, con scherzi musicali, intramezzi pianistici e persino un passaggio di canto jodel. Don Raffaè è una delle canzoni dell’ultimo periodo più famose di De Andrè: scritta con Massimo Bubola per il testo, è cantata in napoletano (cosa che De Andrè sperimentò già nel 1978 per Avventura A Durango) e racconta la situazione carceraria e il controllo delle organizzazioni malavitose negli istituti penale. Raffaele Cutolo, noto boss della Camorra, scrisse a De Andrè per sapere se gli autori si fossero a lui ispirati, ma De Andrè non ha mai ufficialmente fornito indicazioni. La canzone, che nel ritornello omaggia O’ Cafè di Roberto Murolo, fu registrata in duetto dai due e ripresa in diversi album. Uno dei momenti clou dell’intera sua carriera è La Domenica Delle Salme, lunghissimo brano che si basa sull’esecuzione di Giugno (da Le Stagioni op.37a) di Pëtr Il'ič Čajkovskij da parte del pianista Andrea Carcano. Su di essa un testo profondissimo, che parla di paure, rigurgiti razzisti, e velate critiche al mondo della musica di quel periodo. La seconda parte, in continuazione con Crêuza de mä riprende il dialetto genovese in Mégu Megún scritta con Ivano Fossati: il titolo Medico Medicone è un racconto di un malato verso l’incapacità del suo medico, colpevole di volerlo far alzare dal letto. Nuovamente in napoletano per la rilettura di La Nova Gelosia, di un anonimo del XIX secolo, che allude simbolicamente alla nuova persiana (la gelosia) che impedisce all'amato di guardare la sua amata. 'Â çimma è una delle sue canzoni più sensazionali: parla della preparazione della cima alla genovese, sontuoso piatto della tradizione ligure sulla cui preparazione si narrano molte leggende legate alle streghe, correlate al processo lungo e laborioso di preparazione del piatto. Chiude il disco capolavoro Monti Di Mola, dedicata alla amatissima Sardegna: Monti Di Mola è il nome dialettale sardo di chiamare la Costa Smeralda. Cantata in gallurese con la collaborazione del gruppo musicale sardo dei Tazenda narra la storia d’amore fantastica tra un giovane uomo e un'asina bianca che si incontrano una mattina su questi monti. L'intero paese arriva persino ad organizzare il loro matrimonio, matrimonio che però alla fine non si riesce a realizzare, ma non per la differenza di specie quanto piuttosto per un problema legato alle pratiche burocratiche: secondo i documenti ufficiali, i due risultano essere parenti stretti. Il disco vende 350 mila copie e arriva nelle più alte posizioni della classifica italiana. Rimane uno dei suoi dischi più intimi e favolosi, con una poetica diversa dai primi grandi capolavori del periodo fine ‘60-inizio’70, ma vibranti e pieni di idee. Idee che solo un gigante, seppur timido, sapeva esprimere con tale eleganza e dolcezza.
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