The Beatles - The Beatles (1968)
Il ‘68 del rock i Beatles lo fecero nel 1967: Sgt. Pepper’s And Lonely Hearts Club Band cambia le regole del gioco, usando i colori e la frenesia della psichedelia del tempo, sin dalla copertina. Poi venne il Magical Mystery Tour (un mezzo disastro, ma tant’è) e il ritiro in India di Rishikesh, sotto la guida del guru Maharishi. Quando tornarono ad Abbey Road per le nuove registrazioni, la creatività e la tensione erano alle stelle: i fab four volevano a tutti i costi fare un album doppio, il fido George Martin invece spingeva per raccogliere le idee e sfornare una quindicina di pezzi memorabili. Paul McCartney e John Lennon, che si presentava agli studi sempre accompagnata da Yoko Ono, erano ormai ai ferri corti, George Harrison si sentiva sempre più oscurato dall'ingombrante talento degli altri due. Persino Ringo Starr viveva tensioni e risentimenti. In pratica litigarono tutti: Martin abbandonò persino le sessioni di registrazioni, e lo stesso fece Ringo che portò la sua famiglia in vacanza in Sardegna. John, Paul e George in pratica lavoravano da soli, ognuno per conto proprio. Con premesse del genere, il disco uscì nel Novembre del 1968, 2 LP per 30 canzoni: The Beatles diviene uno dei capisaldi del genio beatlesiano e uno dei dischi più grandiosi di tutti i tempi. È un’opera omnia, c’è letteralmente di tutto, ogni stile, idee future, ripescaggi del passato, per un album creativo, assoluto, che tra le pieghe dei suoi brani (alcuni che in verità dopo anni sentono un po’ il peso, forse aveva ragione Martin a scremare le idee…) espone la creatività inarrivabile dei 4 di Liverpool. Partiamo dal titolo e copertina: Lennon voleva chiamare il disco A Doll’s House, in omaggio al famoso testo teatrale di Henrik Ibsen, ma poche settimane prima dell’uscita del loro doppio, i Family pubblicano Music In A Doll’s House (capolavoro anch’esso, e di cui scriverò nelle prossime settimane). I produttori chiesero consiglio al famoso artista Richard Hamilton: copertina minimal con solo il nome della band in rilievo. I fan iniziarono a chiamare il disco The White Album e le prime 4 copie furono regalate agli stessi Beatles ( la copia di Ringo è stata battuta all’asta per circa un milione di euro…). Il disco nasconde ad ogni brano una storia, spesso al limite delle leggende: dal rock’n’roll di Back In U.S.S.R., dove Paul suona la batteria per il forfait di Ringo (cosa che accadrà anche nella storica Dear Prudence, dedicata a Prudence Farrow, figlia di Mia e conosciuta nel ritiro in India); alle stupende e dolcissime ballate come la leggendaria Blackbird, dove Paul sfoggia il fingerpicking imparato durante il soggiorno in India da Donovan, o I Will (primo brano dedicato a Linda Eastman, sua moglie) oppure Cry Baby Cry. Il disco sfoggia delicatezze come Julia (fortissimo e drammatico brano elegia che Lennon scrive per la madre) o Mother Nature’s Son per poi passare alla forza quasi proto punk di Helter Skelter. Pesca nel blues (Yer Blues) e nel country rock (la bellissima Rocky Raccoon). Paul leggendo il titolo di una rivista di armi da caccia che arrivava a George Martin scrive Happiness Is A Warm Gun (che prende spunto da una striscia dei Peanuts, Happines Is A Warm Puppy) brano allusivo che fece scattare la censura della BBC. Ma ci sono i giochi di Piggies, Why Don’t We Do It In The Road? (che la leggenda vuole nacque dopo che i 4 videro due scimmie nella giungla che si accoppiavano), la filastrocca di Obladì Obladà (che è un modo di dire del suonatore di congas Jimmy Scott e deriva dallo slang anglofono nigeriano), la apologetica Glass Onion, un pastiche che John fece mettendo insieme i titoli di loro grandi successi, nata contro i falsi miti sulla band, primo fra tutti la morte di Paul (con esiti opposti alle idee, dato che il verso Well here’s another clue for you all: the walrus was Paul fu davvero pensato come indizio sulla morte e sostituzione di McCartney). Harrison aggiunge la sua While My Guitar Gently Weeps, con assolo strepitoso dell’amico Eric Clapton, giusto a mettere nel menù strepitoso altre perle. Che mica finiscono qui: pochi mesi prima, Revolution fu un singolo “sconcertante” per il ritmo quasi hard rock e per le tematiche del testo (che divise equamente i detrattori tra chi ci vedeva una rivoluzione liberal o conservatrice). Il brano viene ripreso e riarrangiato con uno stile jazz crooner delizioso, rinominato Revolution #1 e diviene uno dei capolavori del loro scintillante catalogo. Il brano verrà ripreso nella terrificante e sperimentale Revolution #9, gioco di John con Yoko Ono. C’è pure lo spazio per un brano di Ringo Starr, il suo primo brano da autore: Don’t Pass Me By. Tutto questo sconvolse il pubblico, che lo premiò con decine di milioni di copie vendute, per decenni il doppio album più venduto della storia della musica. Opera monumentale, leggendaria, stilisticamente inimitabile, il doppio bianco nonostante le tensioni che di qui ad un anno porteranno allo scioglimento del gruppo, rimane una prova mastodontica di creatività, forza e genialità.
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