John Zorn. Ogni promessa è un debito
John Zorn, grande musicista che ha sfornato capolavori indiscutibili. Vediamo un breve ritratto e una parte della sua discografia: da The Big Gundown: John Zorn Plays the Music of Ennio Morricone a The Circle Maker e molto altro…
Finendo l’articolo dedicato ai Naked City vi ho inevitabilmente rimandato ad un futuro in cui si parla di John Zorn. Quel futuro è qui, in queste righe che rispondono anche ad una domanda impertinente di un lettore: “ma cosa ascolti prima di addormentarti? I Napalm Death? I Naked City?” la risposta è: “Spesso ascolto John Zorn, quel Zorn che ora vi vado a svelare”.
Quello che incide dischi che lo hanno reso noto al di fuori dell’ambito della musica d’avanguardia come The Big Gundown: John Zorn Plays the Music of Ennio Morricone, pubblicato nel 1985 dalla Nonesuch Records, in cui Zorn propone arrangiamenti radicali di alcuni temi celebri delle colonne sonore cinematografiche di Morricone, arricchendoli di elementi provenienti dalla musica tradizionale giapponese, dal soul jazz e da altri generi musicali. Questo tributo a Morricone è estremamente godibile e il lavoro che rivela Zorn abile arrangiatore, sopraffino musicista, attento alla tradizione, alla tecnica, non disdegnando certamente l’avanguardia. The Big Gundown fu apprezzato dallo stesso Morricone.
John Zorn, la svolta musicale
Quel Zorn che fa uscire altri due lavori che sottolineano la propria svolta musicale. GODARD, uscito nel 1986 nella raccolta The Godard Fans: Godard Ca Vous Chante? e dedicato al regista Jean-Luc Godard, e SPILLANE, uscito nel 1987 per la Nonesuch Records e dedicato allo scrittore Mickey Spillane. I brani, infatti, tentano di porre in musica le numerose immagini evocate da Jean-Luc Godard nei suoi film e da Mickey Spillane nei suoi libri gialli, unendo una serie di frammenti musicali di breve/brevissima durata (il brano Spillane ne usa ben 60 in 25 minuti). La cosa importante è che questi frammenti sono quasi tutti diversissimi tra loro: si va dalla musica elettronica al noise, dal jazz all’hard-rock.
Quel Zorn che nel 1988 incide News For Lulu, un omaggio a una serie di compositori jazz e hard-bop piuttosto misconosciuti presso il grande pubblico (e cioè Kenny Dorham, Hank Mobley, Sonnie Clark e Freddie Redd) ed è accreditato a un trio: Zorn al sax alto, George Lewis al trombone e Bill Frisell alla chitarra. Balza subito alle orecchie la mancanza di basso, piano e batteria, i tre strumenti che costituiscono la tradizionale sezione ritmica jazzistica: eppure il disco di hard-bop, è un autentico gioiello. Qui di avanguardia ce n’è relativamente poca, i temi sono resi con molta fedeltà rispetto agli originali e le parti solistiche swingano con grande eleganza, rifacendosi alla classica tradizione jazzistica.
Se proprio proprio anche quel Zorn che nel 1989 fa uscire Spy vs Spy, altro album di ottimo livello, tributo al grande sassofonista Ornette Coleman, del quale vengono eseguite con una certa furia interpretativa, in un live al Tonic di New York, 17 composizioni.
Il klezmer recuperato da John Zorn
Ma se devo essere sincero quello che preferisco è lo Zorn che recupera e reinterpreta Il klezmer. Il klezmer è la musica popolare ebraica, il genere che forse ha più influenzato la produzione di John Zorn negli anni Novanta. Tutto ha inizio quando Zorn fonda i Masada assieme al trombettista Dave Douglas, al contrabbassista Greg Cohen e al batterista Joey Baron.
Questa formazione sarà estremamente prolifica per tutti gli anni Novanta, producendo ben dieci dischi tra il 1994 e il 2000. In questi album viene portata a termine una fusione tra la creatività e la ritmicità del jazz d’avanguardia e le armonie del klezmer, che porta a risultati estetici davvero notevoli. Il livello qualitativo generale è sempre piuttosto alto. In questi lavori si dimostra che Zorn non è solo un compositore geniale, ma anche un grandissimo sassofonista, dotato di una gran varietà di registri e di una tecnica strabiliante.
I Masada di John Zorn
Il repertorio dei Masada (il cosiddetto Masada Songbook) è vastissimo, e molti di questi pezzi sono stati anche riarrangiati per formazioni con strumentazione decisamente diversa. I dischi di riferimento, in questo senso, sono due (doppi) album che sono tra i più accessibili mai prodotti da Zorn: The Circle Maker e Bar Kokhba.
The Circle Maker è diviso in due parti: la prima per il Masada String trio (contrabbasso, violoncello, violino), la seconda invece per il Bar Kokhba Sextet (comprendente i musicisti del trio, più Cyro Baptista alle percussioni, Joey Baron alla batteria e Marc Ribot alla chitarra). La prima parte è praticamente musica da camera di grande qualità e poesia.la seconda è musica semplicemente sublime.
Bar Kokhba contiene alcuni pezzi i pezzi per soli archi (circa un terzo del totale) che sono sì belli, ma poca cosa rispetto a quelli con formazioni allargate. Rispetto a The Circle Maker compaiono anche nuovi strumenti, primi tra tutti piano e clarinetto. Il risultato finale è meraviglioso, una delle opere migliori di Zorn in assoluto.
Nasce l’idea di riarrangiare le composizioni dei Masada per un ensemble più grande e nascono quindi gli Electric Masada, formazione che ha purtroppo pubblicato solo un disco ufficiale, 50th Birthday Celebration Volume 4, un live composto da sette tracce sensazionali. Fender Rhodes, laptop, organo, sax alto, percussioni, due batterie, chitarra e basso convivono nel modo più naturale possibile, con risultati esaltanti.
La Kristallnacht
Ecco, questi dischi accompagnano spesso la fine delle mie giornate, ma di John Zorn non ho finito di parlare. Non ho ancora affrontato la Kristallnacht, una suite di sette composizioni che fanno riferimento alla Notte dei cristalli, il pogrom condotto dai nazisti nella notte tra il 9 e 10 novembre 1938 in tutta la Germania.
Ne parlerò in un futuro articolo, che comparirà a breve su questo blog. Come si diceva un tempo: rimanete sintonizzati.
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