Stan Getz - Sweet Rain (1967)
Nel jazz, il sassofono vale come la chitarra elettrica nel rock: i più grandi sassofonisti sono stati catalizzatori di stile, di forme musicali e di tecniche per i giovani musicisti. L’album di oggi fu opera di uno dei più influenti sassofonisti di ogni tempo, che per buona parte della sua carriera è sempre stato considerato un numero 2, sebbene gigantesco. Stan Getz è figlio di emigrati ucraini negli USA (il suo vero cognome è Gayetsky) e nasce a Philadelphia nel 1927. Come tutti i talenti, da giovanissimo suona da professionista e verso la fine degli anni ‘40, nemmeno ventenne, suona con le big band orchestras di miti come Stan Kenton e Benny Goodman. Agli inizi degli anni ‘50, è uno dei fautori del cool jazz: prendendo esempio e rivalutando totalmente la lezione di Lester Young, il suo lirismo, la sua tecnica sopraffina e il suo suono vellutato gli valsero il nomignolo di The Sound, ma all’orizzonte una nuova schiera di sassofonisti, guidati da John Coltrane e Sonny Rollins, finì per mettere in ombra il talento di Getz, Che tra l’altro anche tra i sassofonisti bianchi era meno preferito di Gerry Mulligam. Il periodo di transizione che porterà al bebop lo trova impreparato, e inizia ad avere seri problemi di droga. Per questo motivo, e una denuncia per spaccio di stupefacenti, nel 1956 si ritira in Danimarca, vivendo di serate in locali qualunque. La svolta, inaspettata, arriva agli inizi degli anni ‘60. Il chitarrista suo amico Charlie Byrd gli fa sentire le registrazioni di un certo Joao Gilberto, e Getz si innamorò del suono della “batida” e della bossa nova. Chiama Gilberto e nel 1962 registrano Jazz Samba, che grazie al successo di Desafinado diviene l’album jazz più venduto di ogni tempo, fa vincere a Getz un Grammy nel 1963 e apre le porte all’arrivo della bossa nova in Occidente. La collaborazione tra i due continuerà con l’altrettanto leggendario Getz\Gilberto del 1963, che contiene The Girl From Ipanema, cantata da Astrud Gilberto in inglese, che fino a quel momento faceva la casalinga ed era venuta negli Stati Uniti solo per fare da interprete al marito (tra l’altro il sodalizio tra Getz e Gilberto finì malamente quando Joao scoprì che Stan aveva una relazione con la moglie). Tornato prepotentemente alla ribalta, con concerti in tutto il mondo, il passo successivo di Getz fu il ritorno alla sperimentazione. Si innamora della nascente fusion, prova la via dell’elettrificazione del jazz nel 1966 con Voices, portentoso disco che lo vede affiancato da Herbie Hancock, Jimmy Hall e altri. I risultati sono ancora embrionali, ma il passo successivo è da leggenda. Insieme a Chick Corea, che farò lo stesso poi per Miles Davis, Ron Carter al basso e Grady Tate alla batteria, Sweet Rain del 1967 è uno degli apici del jazz degli anni ‘60. Getz usa con parsimonia l’Echoplex per modernizzare il suo strumento (ovviamente per la rabbia e lo sconcerto dei fan) ma i 5, deliziosi brani che compongono questo disco per l’etichetta Verve sono una poesia in musica: Lithia, la ripresa di O Grande Amor di Jobim e Vinicus De Moraes, la meravigliosa Con Alma di Dizzy Gillespie sono il contorno a due pezzi che da questo punto in poi sono diventati standard del jazz, l’omonima Sweet Rain, dove è più evidente l’uso dell’echoplex nell’assolo finale di sassofono, e la memorabile Windows, una delle più grandi magie di Corea. Con il successo degli anni ‘60, Getz continuerà di rendita per oltre un ventennio, sempre alle prese con seri problemi di droga, fino a quando nel 1991 un cancro al fegato non mise fine alla vita di The Sound, il più grande sassofonista numero 2 della storia del jazz.
Commenti
Posta un commento