Le quindici migliori canzoni degli Smiths
The Smiths
(1982-1987, Manchester, Inghilterra)
La band più innovativa e inimitabile nel panorama britannico di quel tempo, gli Smiths chiusero gli anni Ottanta della new wave e dell’elettropop e riportarono al centro della scena le chitarre, aggiungendoci una loro creatività letteraria e un’estetica decadente e melodrammatica (il rito dei fiori gettati al pubblico durante i concerti fu un loro marchio). Morrissey divenne un’icona, cantò canzoni perfette e se ne andò in California a godersi i fans locali della sua dignitosa carriera da solista.
This charming man
(The Smiths, 1984)
“Stasera uscirei, ma non ho uno straccio da mettermi” proviene da un film di Tony Richardson del 1961, Sapore di miele. Sostenuto da una eccitante base ritmica di chitarra e basso, fu il primo singolo di successo internazionale degli Smiths. David Cameron l’aveva indicata come una delle sue canzoni preferite. Quello sdraiato a terra sulla copertina del singolo è l’attore francese Jean Marais.
Reel around the fountain
(The Smiths, 1984)
Stupenda e ipnotica. Passò come una tolleranza della pedofilia, e subì delle censure: “è il momento di raccontare di come prendesti un bambino e lo facesti crescere”.
Still ill
(The Smiths, 1984)
“Dichiaro qui che la vita è solo prendere, e non dare: l’Inghilterra è mia, e mi deve una vita. Ma chiedetemi perché e vi sputo in un occhio”. Gli Smiths in certi ambienti non furono molto benvoluti.
What difference does it make?
(The Smiths, 1984)
Giro di chitarra cattivissimo, e una delle più celebri canzoni dei primi Smiths. Ma a Morrissey non piace più tanto.
William, it was really nothing
(Hatful of hollow, 1984)
Un’inedita botta di allegria e leggerezza nel solitamente malinconico o incazzato repertorio degli Smiths. Alcuni sostengono che Morrissey avesse una storia con Billy McKenzie degli Associates (autori di una canzone che merita di apparire in questo libro: “Those first impressions”) e che William fosse lui.
Heaven knows I’m miserable now
(Hatful of hollow, 1984)
Lui è triste, depresso, scontento, nessuno se lo fila, e quelli che lo fanno sono ipocriti. E quel che è peggio, cercava un lavoro e l’ha trovato. Il titolo cita una canzone di Sandie Shaw, “Heaven knows I’m missing him now”.
Please please let me get what I want
(Hatful of hollow, 1984)
Manifesto struggente di speranza, a cui si contrapporrà la rassegnazione di “Last night I dreamt that somebody loved me” (qui è “haven’t had a dream in a long time”). “Ti prego, ti prego, fammi avere quello che desidero. Per una volta nella vita, il Signore sa che sarebbe la prima…”. E quando siete lì che vi state alzando per dirgli “anche tu, però, fa’ qualcosa, collabora”, la canzone è finita. Piccola, perfetta.
That joke isn’t funny anymore
(Meat is murder, 1985)
Meat is murder piantò la grana vegetariana del titolo, irritando nuovamente i detrattori benpensanti degli Smiths. Anche la scelta del singolo, assai poco canticchiabile, non aiutò il successo del disco. Però era bello, ipnotico, ninnananno.
There is a light that never goes out
(The queen is dead, 1986)
Non si sa perché, “There is a light that never goes out” è la canzone più amata dai fans degli Smiths. Forse perché è bellissima, più di ogni altra. “E se stasera un pullman a due piani ci venisse addosso, morire accanto a te sarebbe un modo meraviglioso di morire”.
Some girls are bigger than others
(The queen is dead, 1986)
“Certe ragazze sono più grandi di altre, certe ragazze sono più grandi di altre: e le madri di certe ragazze sono più grandi delle madri di altre”.
Panic
(The world won’t listen, 1987)
Johnny Marr racconta che un deejay alla radio mise “I’m your man” dei Wham subito dopo la notizia dell’incidente di Chernobyl, e lui e Morrissey si incazzarono. Comunque, da qui nacque una battuta divenuta rapidamente slogan dei tempi, e controslogan di quelli successivi del clubbing: “Hang the dj, hang the dj, hang the dj!”. Bruciamo la discoteca, impicchiamo il deejay, perché la musica che sceglie non mi dice niente della mia vita. Associabile al testo, meno famoso, della “Slow song” di Joe Jackson: “Sono stufo del deejay, perché dev’essere sempre ciò che suona (citazione critica di “DJ” di Bowie)? Mettetemi un lento!”. E per chiudere il cerchio, la prima città nel panico che si ricordi nella storia del rock era stata Detroit, nella canzone di Bowie (“Panic in Detroit”).
Shoplifters of the world unite
(The world won’t listen, 1987)
Fosse solo per il titolo: “Ladruncoli di tutto il mondo, unitevi e prendete il potere” (che alcuni hanno interpretato come un gioco di parole tra “shoplifters” e “shirtlifters”, nomignolo britannico per gli omosessuali). Nana-nana nanana-nà…
Asleep
(The world won’t listen, 1987)
Era un lato B, poi fu inclusa in una raccolta. Bellissima ninna nanna – “sing me to sleep, I’m tired and I wanttogotobed”–divoceepianoforte, e suono del vento. Ricorda un po’ “Somebody” dei Depeche Mode.
Half a person
(The world won’t listen, 1987)
Racconto autobiografico di tormenti sessuali giovanili (“se avete cinque secondi per me, vi racconterò la storia della mia vita”), uscì come lato B di “Shoplifters of the world unite” precedente. Quella tutta Johnny Marr, questa tutta Morrissey. Sei mesi dopo, si separarono.
Last night I dreamt that somebody loved me
(Strangeways, here we come, 1987)
Spettacolare finale di carriera. Spettacolare e inquietante introdu449 zione di pianoforte funebre e suoni di folla ringhiosa. Spettacolare e deprimente racconto di solitudine: “la notte scorsa ho sognato che qualcuno mi amava: ma niente paura, era solo un falso allarme”. Bravi, adieu.
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