Janis Joplin: il rock è donna!

I primi passi sulla scena musicale di Janis Joplin (1943-1970)

Janis Joplin nasce a Port Arthur, Texas, il 19 gennaio 1943. Sotto il segno del Capricorno, dunque, come Elvis Presley, Jimmy Page e David Bowie, e come questi destinata a risplendere per sempre tra gli astri più luminosi della storia della musica popolare. Affermatasi sulla scena rock, Janis si è tuttavia formata in ambito blues, ascoltando Leadbelly e Bessie Smith. Sulla tomba di quest’ultima, due mesi prima della propria morte, farà collocare a sue spese una lapide celebrativa che ne testimonia la devozione:

“The Greatest Blues Singer in the World Will Never Stop Singing”.

Altra fonte d’ispirazione e modello fu un’altra cantante dalla pelle nera, la folk singer Odetta, di cui Janis fece a una festa un’imitazione talmente convincente da lasciare gli astanti allibiti. Fu così che Janis disvelò a sè stessa la propria anima blues, la potenza della voce e il suo straordinario talento.

Tra i diciotto e i ventitre anni fa la spola tra il Texas e la California, esibendosi soprattutto nei locali di Austin e di San Francisco e conducendo una vita decadente e bohémienne.

Nel 1966 si unisce al gruppo folk blues Big Brother and the Holding Company, cui la sua presenza permette di assurgere al Gotha delle migliori band della West Coast. Due mesi prima che la Mainstream Records pubblichi l’album eponimo, la cui produzione penalizzerà il suono psichedelico dei Big Brother e soprattutto soffocherà la strabordante potenza della voce roca e graffiante della Joplin, il gruppo si esibisce al Monterey Pop Festival. Nasce una stella.

Con Big Brother and the Holding Company, dal Monterey Pop Festival al rilascio di una bomba: Cheap Thrills (1968)

Il Monterey International Pop Music Festival ebbe luogo tra il 16 e il 18 giugno del 1967 nella contea di Monterey, in California. Viene ricordato per essere stato uno degli happenings più significativi della Summer of Love e per aver dato grande visibilità alla Jimi Hendrix Experience, agli Who, e a Ravi Shankar.

Il festival rappresenta tuttavia soprattutto il momento in cui la cantante dei Big Brother and the Holding Company, tal Janis Joplin, ancora sconosciuta al grande pubblico, si rivela capace in sole cinque canzoni di annichilire la platea. Al punto che, dopo che l’esibizione del 16 giugno non era stata – incredibilmente – filmata, gli organizzatori chiedono ai Big Brother – unici tra tutti i musicisti – di tornare il giorno dopo sul palco per suonare almeno una canzone, in modo da potere immortalare su pellicola la performance di quella frontgirl irresistibile.

Janis non delude, e sciorina una versione di Ball and Chain (di Big Mama Thornton) se possibile ancora più sconvolgente di quella interpretata il giorno prima. Inizia, Janis, sussurrando i versi malinconici che aprono la canzone (“Sitting down by my window / Honey, looking out at the rain”), ma non ci vuole molto prima che la sofferenza di un amore non corrisposto trovi spazio dentro l’anima tormentata della blueswoman ed esploda attraverso il canale della sua voce.

Una voce che urla il proprio strazio inconsolabile, che balbetta l’incredulità per un dolore lancinante (“Oh, tell me, baby / Oh, say, whoa, whoa, whoa, whoa, honey / This can’t be, no, no, no, no, no”) e inconsolabile, che canta il lacerarsi dello spirito e della carne. Una performer che diventa lei stessa quel dolore, che non riesce a star ferma, che letteralmente esce e rientra nei propri sandali, che allontana il microfono e salta, grida, chiude gli occhi, si dispera. Che, soprattutto, canta con un pathos che fa rimanere a bocca aperta e provoca la pelle d’oca.

L’esibizione non passa inosservata ai discografici della Columbia Records, che scritturano il gruppo per il loro prossimo disco.

Cheap Thrills uscirà l’anno seguente e catapulterà la band in cima alle classifiche di vendita e la sua cantante nell’Olimpo degli Dei (delle Dee) del Rock. Iconico fin dalla copertina psichedelica realizzata dal fumettista Robert Crumb, che si imporrà come un vero e proprio classico della pop art, il disco contiene una serie di pezzi che permettono alla Joplin di imporsi definitivamente: la sofferta versione di Summertime, la trascinante Piece of My Heart e l’inevitabile Ball and Chain fanno tutte parte di questo album magnifico, cui vengono qua e là artificiosamente aggiunti rumori di sottofondo che inducono l’ascoltatore a credere di avere a che fare con delle esibizioni dal vivo.

E finalmente: Pearl (1971). La valorizzazione dell’immenso talento grazie alla Full Tilt Boogie Band

Raggiunto il successo, Janis considera conclusa l’avventura coi Big Brother e forma un nuovo gruppo, la Kozmic Blues Band, col quale effettua un tour – anche in Europa – e incide I Got Dem Ol’ Kozmic Blues Again Mama, disco meno riuscito del precedente, seppur contente l’ottima Try (Just a Little Bit Harder).

Se i dischi incisi con Big Brother and the Holding Company e il materiale suonato insieme alla Kozmic Blues Band le avevano permesso di farsi conoscere e apprezzare, e pure di ottenere il successo commerciale, è grazie alla canadese Full Tilt Boogie Band che Janis sente di aver finalmente trovato il gruppo giusto per lei.

Dopo una tournée estiva in Canada, Janis si chiude in studio coi FTBB per registrare un nuovo album. Il disco che verrà chiamato Pearl non viene completato perché il 4 ottobre, in un hotel di Los Angeles, un’overdose di eroina pone precocemente fine all’esistenza della tormentata artista texana.

Il materiale registrato è però sufficiente per portare a termine, con l’aggiunta di qualche sovraincisione strumentale, il progetto discografico, che infatti esce nel febbraio del 1971.

Si tratta del vertice della carriera della Joplin, cui la sobria sussidiarietà della band d’appoggio permette di sfoggiare tutto il proprio straordinario talento. Il disco parte con l’incalzante Move Over, cui segue la straziata Cry Baby, uno dei brani più emblematici dell’intera carriera di Janis.

L’album contiene altri capolavori, come la cover di Me and Bobby McGee di Kris Kristofferson, che arriverà al primo posto dei singoli più venduti negli Stati Uniti, e la sorprendente Mercedes Benz, cantata a cappella e ispirata al verso d’apertura di una poesia di Michael McClure (“Oh Lord, won’t you buy me a Mercedes-Benz? / My friends all drive Porsches, I must make amends …”).

Resasi conto che gli hangover causati dagli eccessi alcolici influenzavano negativamente la qualità delle sue performance vocali, Janis Joplin, allo scopo di non bere prima, dopo e durante le registrazioni in studio, aveva dopo un anno ripreso a farsi di eroina. Se questa terapia garantì un eccellente livello del canto, la portò in compenso ad una morte fulminante e precoce.

Janis Joplin ci ha lasciato in eredità delle interpretazioni audio e video fenomenali, che continuano a scuoterci nel profondo ad ogni nuovo ascolto e visione. La capacità di controllare l’emissione vocale pur lasciandosi sopraffare dall’emotività, l’esposizione corporea, spudorata di cuore e fragilità, l’esagerata eppur necessaria potenza canora sono senza dubbio tratti di un’estetica del sublime, paragonabile a quella di Robert Plant dei Led Zeppelin, di cui appare uno dei modelli più evidenti.

Janis si è imposta come star in un mondo e in un’epoca in cui le donne nel rock erano considerate un’appendice del maschio-musicista, del maschio-fan, o del maschio-dominatore sessuale. Coriste, accompagnatrici di fidanzati ai concerti o groupies, le donne raramente accedevano al rock stage come protagoniste, leader, oggetto di adorazione. Janis per farlo ha dovuto adottare comportamenti da maschiaccio, condiscendere alla disponibilità sessuale cui sulla scena rock la donna era associata, e infine – come i rockers uomini insegnavano – abusare di alcol e di droghe fino all’autodistruzione.

Emblema e al contempo vittima di un peculiare contesto storico-culturale, Janis Joplin non si è sottratta al suo Karma ed ha contrassegnato un’epoca.

A cura di Tiberio Snaidero - Fonte originale dell'articolo

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