Roy Harper - Stormcock (1971)

Ci sono state delle figure nella storia della musica inglese la cui vita, privata e professionale, avrebbe potuto essere raccontata in un romanzo di avventura. E che hanno lasciato delle testimonianze musicali immense. Uno dei rappresentanti più influenti di questa stirpe è Roy Harper. Originario di Manchester, rimane orfano di madre. La sua matrigna, dispotica, è fervente seguace dei testimoni di Geova, e il rapporto così conflittuale con lei gli provocherà un profondo odio verso ogni forma di religione. Per sfuggire alla famiglia si arruola nella RAF a soli quindici anni, scoprendo però ahimè che la vita militare è altrettanto impraticabile per lui. Per ottenere il congedo si finge pazzo: è costretto a subire ripetute sedute di elettroshock e viene internato in manicomio, e passa anche del tempo in prigione. Scappa da un ospedale psichiatrico di Manchester e girovagando senza un soldo e psicologicamente a pezzo arriva a Londra, siamo nel 1964. Impara a suonare la chitarra, scoprendo un naturale talento per lo strumento, suona per le strade e nelle metropolitane, e piano piano la sua poesia oscura e dolente, la sua voce camaleontica e un talento innato gli ritagliano un piccolo spazio nella effervescente scena folk inglese del periodo. Per la Strike, una piccola etichetta del folk, incide il suo primo disco: The Sophisticated Beggar è un bel debutto che rivela il suo talento, che mischia la chitarra acustica alla Bert Jansch (Goldfish Bowl, Black Clouds, la stupenda title track) a contaminazioni world e psichedeliche. L’album verrà ristampato più volte a successo ottenuto spesso con il titolo di The Return Of The Sophisticated Beggar. Passano tre anni di concerti, per lo più free, che però sono decisivi per trovare una casa discografica: la CBS lo scrittura e gli dà come produttore Shel Talmy, famoso per i lavori con Kinks e The Who. Con pochi mezzi Come Out Fighting Ghengis Smith esce nel 1967: folk acustico e fingerpicking dominano le canzoni, tra citazioni del suo amico Donovan (All You Need Is), madrigali e la sua voce calda e misteriosa. In copertina, un bimbo appena nato con ancora il cordone ombelicale attaccato, che verrà censurata all’epoca. Ancora con Talmy in consolle esce Folkjokeopus (1969): album dalle idee più estreme, con innesti di sitar indiani e un brano, McGoohan’s Blues, che è quasi uno speaker’s corner speech anticlericale. Passa alla Harvest, l’etichetta del progressive, e firma nel 1970 Flat, Baroque And Berserk. La produzione è di Peter Jenner, pezzi storici come la bellissima Don’t You Greve, dal sapore dylaniano, i primi tocchi orchestrali (Another Day), accenni di prog (Hell’s Angels, con i Nice a suonare non accreditati in copertina) ma soprattutto la storica canzone antirazzista della durissima I Hate The White Man. I tempi sono maturi per l’atteso capolavoro: Stormcock (1971) è il nome inglese della turdela, un turdide ghiotto di vischio (da cui il suo nome scientifico di turdus viscivorus) e che secondo una leggenda canta di prima mattina e quando il clima è tempestoso. Il disco stupisce per la sua magnetica forza emotiva: in scaletta quattro brani, mini suite dove le chitarre a sei e dodici corde si intrecciano in storie e atmosfere dense di sentimenti, belli e brutti, di emozioni contrastanti, creando un wall of sound acustico e toccante. Hors D’Oeuvres, la spettacolare Me And My Woman, dove Harper sfodera meravigliosi falsetti ed è strutturata con gli archi magnifici di David Bedford, One Man Rock And Roll Band (un titolo, un programma, la quintessenza di Harper) e la stupenda, e anti governativa, The Same Old Rock, dove alla chitarra c’è tale S. Flavius Mercurius, che non è un maestro della scuola di magia di Harry Potter ma è lo pseudonimo di Jimmy Page, fido amico di Harper, che aveva già omaggiato il nostro nel leggendario Led Zeppelin III con Hats Off To (Roy) Harper, per la coerenza e la forza d’animo di un artista davvero singolare e talentuosissimo. Harper dopo un periodo dove pensò di morire per gravi problemi fisici (testimoniati dallo stupendo ed oscuro Lifemask del 1973) continuerà la sua carriera quarantennale sempre intrecciando la sua voce caratteristica con il suono delle sei corde della sua chitarra: non c’è da fare altro che togliersi il cappello davanti al genio strano di quest’artista.

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