Nathan Bowles – Plainly Mistaken (2018)

di Gianfranco Marmoro

Dopo aver oltrepassato i confini del folk e dopo essersi addentrato nelle oscure trame della sperimentazione, Nathan Bowles compie un ulteriore azzardo stilistico, assemblando una vera e propria band per il nuovo album “Plainly Mistaken”.
Un deciso passo verso l’underground music (Nathan ha dichiarato di essersi ispirato ai Silver Apples), nonché l’ennesimo figlio alieno della tradizione americana, anche se l’accento ribelle è ininterrottamente in bilico tra irrequietudine e bonaccia.

Con il banjo costante protagonista, Bowles mette insieme l’album più strambo della sua carriera, alternando sublimazione esoterica a vivacità mondana, con una perizia stilistica encomiabile. “Plainly Mistaken” non è comunque l’album definitivo per il talentuoso musicista americano, la volontà di espandere l’assetto strumentale apre nuovi orizzonti e lascia un piacevole senso d’incompiuto, che schiude ulteriori porte all’immaginazione.
Alla maniera di Jack Rose e Steve Gunn, l’artista attinge non solo alla tradizione ma anche ad altri mondi, reimmaginando con eleganza e un briciolo d’ambiguità un brano tratto dal repertorio di Julie Tippetts e un altro estrapolato dal secondo album dei Silver Apples. Scritta dalla musicista avantgarde Jessica Constable alla giovane età di sette anni, “Now If You Remeber” è forse più nota al pubblico per l’elegante versione offerta da Julie Tippetts nel secondo album “Sunset Now” del 1975. Ed è da questa versione che Bowles prende spunto, alterandone il minimalismo da ninnananna con un’interpretazione vocale ipnotica e ricca di ascetica malinconia.

E’ ispirata all’arrangiamento che i Silver Apples realizzarono per l’album “Contact”, la cover di “Ruby” (brano scritto da Cousin Emmy nel 1946), Nathan ne riscopre la valenza innovatrice all’interno del movimento bluegrass, prima esaltandone la natura ritmica e giocosa, poi spingendola nelle braccia di un finale avantgarde che ne modifica non solo l’assetto armonico ma anche il titolo (“Ruby/In Kind I”).
In questo percorso di reinvenzione della musica tradizionale, che il musicista ha in passato condiviso con Jack Rose, Steve Gunn e Jake Xerxes Fussell, e che per molti versi prosegue nel solco di Robbie Basho e John Fahey, Bowles traccia due affascinanti meditazioni strumentali (“Umbra”, “Girih Tiles”), con sonorità che trascendono l’estetica dei due strumenti messi in gioco (rispettivamente banjo e mellowtone), suscitando suggestioni sonore primitive e ancestrali che evocano paesaggi e saperi esotici.

Anche in “The Road Reversed” Bowles compie un piccolo miracolo d’interazione culturale, con ritmi scanditi alla maniera dei Tuareg, tracce di folk appalachiano e un groove finto elettronico. Nella sua irriverenza stilistica alla tradizione folk, l’album offre anche due tracce ingannevolmente rassicuranti e country-oriented (“Elk River Blues”, “Fresh & Fairly So”), alimentando i contrasti che agitano “Plainly Mistaken”.
“In Kind II” il musicista altera definitivamente l’estetica di banjo e percussioni, trasformandone i suoni in un sibilo quasi elettronico, prima di concedere a “Stump Sprout” l’onore delle armi, lasciando nelle mani del banjo il momentaneo stop a quel processo di rinnovazione che il musicista americano sta elaborando con un sapiente dosaggio di passato e presente.

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