Thelonious Monk, Guida per principianti
Ci sono tantissimi modi di suonare il piano e ogni grande musicista ha sempre trovato il suo, personalissimo. Anche se non coincideva con le aspettative del pubblico del tempo. Abbiamo ascoltato Satie, Glass, Debussy, per citarne qualcuno della musica classica; Waits, Allevi ed Einaudi, per quanto riguarda quella leggera; e Conte, Ray Charles e Petrucciani per quella jazz.
Oggi vogliamo ascoltare un altro pianista, diverso da tutti gli altri, annoverato nel registro jazz, ma con una carica sperimentale che lo rende un caso a parte: Thelonious Monk.
Monk è stato uno dei più sopraffini pianisti del Novecento, dando un contribuito importantissimo al repertorio jazz. All’inizio della sua carriera però il pubblico non era abituato a quel modo di suonare e per questo ebbe numerose difficoltà di vendita. L’orecchio doveva ancora affinarsi. I suoi accordi venivano definiti “strani”, un termine tanto vago quanto mortificante, visto che lui in quegli accordi non ci vedeva nulla del genere.
Oggi, fortunatamente, il suo stile è diventato patrimonio di tutti i musicisti jazz ed è studiatissimo. Dandogli finalmente quell’attenzione che ha sempre meritato.
Nato a Rocky Mount nel 1917 Monk è un bambino prodigio. Studia da autodidatta il pianoforte. Da grande affina lo studio anche alla Juilliard School of Music, soprattutto per quanto riguarda l’armonia. Non smetterà mai di studiare lo strumento.
Come prima occupazione si siede al pianoforte di un locale jazz di Manhattan. Da lì passano tantissimi grandi musicisti e Monk ne approfitta per crescere musicalmente suonando con loro fino a tardi. Dizzy Gillespie, Charlie Christian, Charlie Parker e molti altri.
Il suo stile pianistico, almeno inizialmente, si rifà alla tecnica stride presa in prestito da Ellington, suo grande modello. La tecnica consiste nel muovere la mano sinistra tra i bassi e il centro della tastiera, rapidamente; mentre con la destra si eseguono dei fraseggi.
In una di quelle sere al locale, incontra Hawkins, un musicista di cui diventa amico, che lo arruola per farlo suonare nel suo disco. Qualche anno dopo, nel 1947, incide il suo primo album da leader di una band. Il suo nome inizia a girare, viene apprezzato da tutti i suoi colleghi e suona con Sonny Rollins, Art Blakey, Max Roach, John Coltrane.
La sua musica, però, è ritenuta troppo difficile (curioso che oggi a essere ritenuto tale sia tutto il jazz in generale) e i suoi dischi non vendono. In effetti la musica di Monk è molto complessa e ardita: un esempio è il brano del 1956, Brilliant Corners, suonato con Sonny Rollins al sax. La versione finale, incisa sull’omonimo EP, dovette essere messa insieme da diversi take…
Il successo commerciale, e la sua conseguente consacrazione, arriva nel 1963, con Monk’s Dream. Un successo che lo proietta addirittura sulla copertina del Time. A quel lavoro, pubblicato per la grande etichetta Columbia, seguiranno altri ottimi dischi, come Criss Cross, Solo Monk, Straight, No Chaser e Underground, fino ad arrivare agli anni settanta.
Il decennio che segna il ritiro pubblico di Monk. Accanto alla grandezza nel modo di suonare il pianoforte, c’era in Thelonious un curioso modo di porsi. Eccentrico e bizzarro. Durante un tour mondiale, il suo amico e bassista Al McKibbon racconta che per tutta la sua durata “Monk disse al massimo due parole. Intendo veramente solo due parole. Non salutava, non chiedeva che ore fossero, niente di niente. Il perché, non lo so. Ci scrisse una lettera alla fine del tour dicendoci che la ragione per la quale non riusciva a comunicare o suonare con noi, era perché eravamo troppo brutti”.
Molto probabilmente quello che oggi potrebbe sembrare un atteggiamento bizzarro era in parte un segnale della malattia mentale che degenererà negli ultimi anni di vita (Monk muore d’infarto nel 1982).
Il brano che, secondo noi, meglio riassume la personalità di Monk (con e senza il pianoforte davanti) è ‘Round Midnight, uno dei più belli del jazz. Il brano viene suonato al piano anche da un personaggio di un romanzo di Murakami.
Dal punto di vista espressivo, suonarlo bene è difficilissimo: ne sapeva qualcosa Miles Davis. Nella sua autobiografia ricorda: “Mi piaceva da morire il brano […] volevo imparare a suonarlo. Così ogni sera, dopo averlo suonato, andavo da Monk e gli chiedevo ‘Come l’ho fatto stasera?’ E lui, tutto serio: ‘Non bene’. La sera successiva, uguale […] Mi diceva ‘Non si suona così’, a volte con un’aria esasperata e maligna. Po una sera glielo chiesi nuovamente e lui mi disse ‘Sì, si suona così’. Mi rese più felice del più felice dei bastardi […] Avevo trovato il suono. Era uno dei pezzi più difficili”.
Se vuoi approfondire la vita e l’opera di questo grandissimo artista, ti consigliamo assolutamente la biografia scritta da Robin D.G. Kelley, intitolata Thelonious Monk – Storia di un genio americano, edita da minimum fax.
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