Gov’t Mule – Revolution Come… Revolution Go (2017)

di Bruno Conti

Tornano i Gov’t Mule con un nuovo album, Revolution Come…Revolution Go, concepito nei giorni dell’elezione di Trump negli USA (e quindi come nel caso di quello di Roger Waters, influenzato a livello di testi dagli avvenimenti allora in corso), ma musicalmente sempre legato al classico rock del quartetto americano, uno stile dove confluiscono anche elementi blues, soul, funky, jazz e anche country, oltre alle improvvisazioni tipiche delle jam band: quindi, come si ricorda nel titolo del Post, per certi versi non tradiscono mai i loro estimatori. Dopo lo scioglimento degli Allman Brothers (reso ancor più definitivo dalla recente scomparsa di Gregg Allman) Warren Haynes si è dedicato alla sua carriera solista, pubblicando tre album, uno in studio, un Live e quello insieme ai Railroad Earth, non tralasciando comunque una intensa attività di pubblicazione di materiale d’archivio della sua band principale, più o meno in concomitanza con il 20° Anniversario dalla nascita del gruppo. L’ultimo album Shout!, uscito nel 2013 per la Blue Note, era stato un album particolare, in quanto a fianco del disco principale era accluso un secondo CD con tutte le canzoni (ri)cantate da una nutrita serie di ospiti. Per Revolution Come…Revolution Go, il loro decimo album di studio, si ritorna alla formula abituale (anche se, come da benemerita abitudine, sarà pubblicata pure una versione Deluxe con ben 6 tracce extra, altri tre brani nuovi, una versione alternata e due Live In Studio dei pezzi contenuti nel primo CD).

Per l’occasione il numero degli ospiti è contenuto al minimo: Jimmie Vaughan è la seconda chitarra solista nella bluesata e texana Burning Point, e Don Was, se vogliamo considerarlo tale, co-produce due brani del CD, alternandosi con Gordie Johnson che è il co-produttore con Haynes in altri sei. La formazione è la solita: Matt Abts alla batteria, una garanzia, Jorgen Carlsson al basso, sempre più impegnato, riuscendoci, a non fare rimpiangere Allen Woody e Danny Louis alle tastiere, seconda chitarra e occasionalmente alla tromba. Il risultato, si diceva, è più che soddisfacente: a partire dalla ferocissima Stone Cold Rage, il primo “singolo” dell’album, che ci riporta al sound hard dei primi anni della formazione, a tutto wah-wah, con una carica che mi ha ricordato gli Humble Pie, i Bad Company e gli amati Free, con le svisate dell’organo di Louis che si sovrappongono alle chitarre di Haynes con effetti devastanti, mentre Warren canta con la solita foga. Drawn That Way è un altro potente rock-blues cadenzato, tra la James Gang di Joe Walsh e le band citate prima, senza dimenticare il southern degli Allman e il classico rock seventies in generale, con un bel cambio di tempo, una decisa accelerazione nella seconda parte, che prelude ad una bella jam con doppia chitarra solista; nel finale Pressure Under Fire è il secondo brano influenzato, a livello di testi, dai recenti eventi politici e sociali americani, ancora il classico rock dei Mule, un mid-tempo sospeso dalle atmosfere intense e curate dalla produzione di Don Was, con un ottimo lavoro nuovamente di Louis all’organo, alternato alla solista di Warren, mentre The Man I Want To Be è una splendida ballata in crescendo, giocata anche sui toni e i pedali della solista di Haynes, ma pure con un fervore quasi gospel e qualche retrogusto che ricorda il Jimi Hendrix più “melodico”, comunque la si veda una delle migliori canzoni del nuovo album, con un assolo fantastico di chitarra.

Traveling Tune, con l’uso della steel guitar e un’aura rustica e country è quella che più si avvicina a Ashes And Dust, il disco con i Railroad Earth, una ballata southern che ricorda anche certe cose di Dickey Betts con gli Allman, molto bella la melodia; viceversa Thorns Of Life è uno dei brani più lunghi dell’album e più improvvisati, inizio dark e quasi jazzato, con la ritmica che lavora di fino per preparare l’arrivo della voce di Haynes, molto misurato nella parte iniziale, poi entra la solista di Warren e il tempo inizia ad accelerare, si placa brevemente di nuovo e poi si ricarica per il finale di grande intensità sonora, tra picchi e momenti di quiete. Dreams And Songs, l’altro brano co-prodotto con Don Was, è una ulteriore eccellente ballata di stampo sudista, con un bel lavoro di piano elettrico e la lirica chitarra in modalità slide a sottolineare la dolce melodia della canzone che mi ha quasi ricordato il Dylan di Pat Garrett, e pure Sarah Surrender è un ottimo esempio dell’Haynes autore, non solo il chitarrista, ma anche l’amante della classica soul music, stranamente per l’unico brano non registrato nelle sessions dell’album tenute a Austin, Texas, ma in una appendice a New York nel gennaio del 2017: atmosfera ondeggiante, armonie vocali femminili, congas e organo a punteggiare l’impronta nera della canzone, scelta come secondo singolo del CD, persino qualche tocco santaneggiante nel lavoro della solista. Revolution Come…Revolution Go è l’altro brano che supera gli otto minuti, nuovamente tipico dello stile dei Gov’t Mule, partenza rock swingata su un deciso groove di basso, poi un improvviso cambio di tempo e si passa ad un blues shuffle cadenzato, sempre con la solista in grande evidenza, ulteriore cambio per una breve improvvisazione jazzata guidata dall’interscambio organo/chitarra nella parte centrale e poi nel finale si ritorna al tema iniziale.

Rimangono gli ultimi tre brani, Burning Point, quello con il duetto con Jimmie Vaughan, un brano dall’impronta blues, ma stranamente dall’anima rock, per il fratello più “tradizionale” rispetto alle 12 battute della famiglia, Warren Haynes è impegnato ad un wah-wah nuovamente quasi hendrixiano, ma anche Jimmie risponde da par suo con il suo tipico sound texano, mentre il ritmo ha pure un feeling funky, quasi à la New Orleans, grazie anche all’organo di Louis, come doveva essere nella intenzione originale espressa dall’autore nella presentazione del disco. Che si conclude con Easy Times, altra bella blues ballad dall’aria riflessiva, cantata con trasporto da Haynes, supportato nuovamente dalle voci femminili già impiegate in precedenza, prima di rilasciare un ennesimo assolo dei suoi nel finale. Anzi, per la precisione, l’ultimo brano è anche l’unica cover del disco, una rielaborazione del classico blues di Blind Willie Johnson Dark Was The Night, Cold Was The Ground, a cui Warren ha aggiunto un nuovo testo per renderlo più vicino ai tempi che stiamo vivendo, trasformandolo in una sorta di gospel-rock epico e futuribile, dove i florilegi del piano cercano di mitigare l’urgenza della chitarra e del cantato che portano l’album al suo climax: “soliti” Gov’t Mule, quindi ottimo album.

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