Laura Marling – Semper Femina (2017)
Nel libro IV dell'Eneide di Virgilio, v. 569, si legge: "Heia age, rumpe moras. Varium et mutabile semper femina" (= Muoviti, rompi gli indugi, è della donna essere mutevole). La raffinata citazione classica fornisce a Laura Marling il pretesto per costruire nel suo sesto album una sorta di concept sulla natura vulnerabile dell'essere femminile. "Volevo scrivere della donna come se fosse un uomo a farlo", spiega la cantautrice inglese in un'intervista rilasciata a The Fader, aggiungendo "ma in fondo, ero io stessa a scriverne, non avevo bisogno di una prospettiva maschile per giustificare l'intimità del modo in cui guardo al mondo femminile". In "Semper Femina", in sostanza, la tipica prospettiva femminista, tutta tesa a valorizzare l'autonomia e l'indipendenza della donna, lascia il passo a un'analisi complessa e sfaccettata della stessa, con tutte le sue fragilità che non vengono negate, ma accettate come parte integrante e preziosa dell'universo femminile.
Le donne che abitano i nove brani qui presenti non hanno punti di riferimento fissi, vivono nel ricordo di una libertà insita nella loro natura, ma in qualche modo celata dalle convenzioni e limitazioni imposte dalla società; sentono il bisogno urgente di esprimere i loro sentimenti, e muoiono dalla voglia di sapere cosa gli altri pensino di loro. Sembra di assistere a un gioco di specchi in cui la Marling, da osservatrice, diventa a sua volta osservata, in una compenetrazione di sguardi e gesti ben esemplificata dal video di "Soothing", in cui le contorsioni sensuali delle due donne vengono osservate dall'occhio indifferente di un pubblico impassibile, quasi a voler descrivere il contrasto tra la percezione che si ha dall'interno di una relazione e quella fredda, distaccata che vive uno "spettatore" non coinvolto. Una prospettiva ambigua che, del resto, emerge dai versi del ritornello, in cui il bisogno di un "lenitivo" sembra colorarsi di una nota spiccatamente sessuale: la persona descritta come "creepy conjurer" è probabilmente un vecchio amante che vuole rientrare nella vita di una Marling ferita e vulnerabile che, se da un lato vede nell'ex una gradita valvola di sfogo, dall'altro percepisce il disagio e il dolore che ne deriverebbe. Nell'universo di "Semper Femina" le scelte portano conseguenze inevitabili, che incrinano relazioni e seminano rancori, ma la Marling sembra quasi dirci che in fondo tutto questo è parte della vita e che, alla fine della giornata, "i propri debiti vengono pagati" ("Always This Way"). Il comparto lirico su cui si fonda tutto il disco lo rende uno dei lavori "da donna a donna" più brillanti e profondi che siano mai stati realizzati.
Su un sottotesto così solido prendono vita canzoni che brillano di luce propria, senza mostrare in nessun momento la corda e senza scadere nei cliché tipici del genere. Sebbene "Semper Femina" non sia avanguardistico come "Once I Was An Eagle" o scalpitante come "Short Movie", potrebbe verosimilmente essere ricordato come il disco più rappresentativo della Marling, un bignami della sua arte confezionato in un formato più "friendly" e digeribile. Fatta eccezione per "Soothing", brano che rinverdisce i fasti dei Portishead di "Dummy", con la sua poderosa doppia linea di basso e il beat subliminale, il resto del lavoro vede la Marling a suo agio in territori già esplorati. La bellezza di queste canzoni, però, è tale che davvero non ci riesce di vedere la cosa come un difetto.
Un pugno di brani praticamente perfetti, ognuno con una melodia memorabile e arrangiamenti di grazia ineguagliabile. "The Valley" luccica come rugiada mattutina, col suo lirismo quasi spirituale e mistico: i violini qui sono qualcosa di indescrivibile, e l'effettistica applicata alla voce la eleva in un'atmosfera senza tempo. "Wild Fire" e "Nothing Not Nearly" sono pura gioia per le orecchie e svelano il lato più elettrico della cantautrice, tra assoli di chitarra che irrompono all'improvviso e melodie che, con la loro cadenza simil-parlata, sembrano quasi mimare un flusso di coscienza senza filtri (ed è commovente sentire dalla Marling un'ammissione come "The only thing I learned in a year, where I didn't smile once"). Per bozzetti naturalistici come "Wild Once", c'è una "Nouel" che è forse è la sua "A Case Of You" (Joni Mitchell, "Blue", 1971), quel tipo di canzone che potrebbe istantaneamente descrivere il significato della parola "fragilità". Infine, non hanno bisogno di percussioni brani come "Next Time" e "Always This Way", coi loro arpeggi fatati che guardano sì alla tradizione, ma la sorpassano con maestria.
Con sei album e appena ventisette anni compiuti, Laura Marling sta scrivendo un capitolo importante del cantautorato femminile. Nessuno come lei da dieci anni a questa parte sembra in grado di sfornare, con una costanza che ha dell'incredibile, lavori di una tale consistenza e compiutezza. Si spera che questo disco possa consacrarla definitivamente ma, soprattutto, che Laura possa continuare a regalarci emozioni del genere per gli anni a venire.
bella recensione e grande album: la Marling non riesce a smettere di stupire ;)
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