Laurie Anderson - Big Science (1982)

Lei è un artista della scena newyorkese dei primi anni Ottanta, quelli in cui anche Andy Warhol è risorto da un oblio prematuro: tutta l'avanguardia del mondo si è rifugiata sull'isola di Manhattan dove, dirà poi lei stessa anni e anni dopo, pare che tutti stiano lavorando a un'opera multimediale, è ovvio. La sua si chiama Uniteci States e si occupa dell'Impero del Bene, di una guerra — per quanto fredda — che nessuno vuole piú combattere e di un paese che, visto dalle cantine di New York, sembra decisamente sull'orlo di una colossale crisi, forse anche di nervi. Anderson mette insieme performance in cui la musica (la musica della parola) predomina. Tanto che una piccola casa discografica che vende per corrispondenza le fa incidere un singolo, un 45 giri che va a 33 e 1/3 per poter contenere su un solo lato gli otto minuti abbondanti di O Superman. Come fosse un'artista pop. Ma Laurie Anderson è capace di tutto, anche di diventarlo, un'artista pop. Un dj inglese, il leggendario John Peel, scopre quel 45 giri, lo fa arrivare in Gran Bretagna, lo porta fino al secondo posto delle classifiche di vendita. La Warner la mette sotto contratto, e pochi mesi dopo esce Big Science, che dalle otto ore di United States estrapola otto brani (in realtà nove, due sono uniti in un'unica traccia), tutti registrati nello studio di Laurie, alcuni con l'ausilio di strumentisti «veri». E un album elettronico prima dell'elettronica, in cui la voce è filtrata dal vocoder, un'invenzione degli anni Trenta che la musica d'avanguardia usa per uscire dal soggettivismo del rock e descrivere plasticamente il senso d'alienazione che sente intorno a sé. Laurie è colta, e cita Massenet, riscrive la sua O Souverain, sul declino di Napoleone visto dai soldati che marciano con lui verso la morte, e la trasforma in O Superman, occasionalmente ispirata dal disastroso tentativo di liberazione degli ostaggi americani a Teheran che costerà la vita a otto soldati americani e la presidenza a Jimmy Carter. Ma sono il senso di angoscia che pervade il pezzo, l'ipnotico e ritmico frammento vocale che l'attraversa, l'impotenza che lo caratterizza a rimanere impressi nella mente di tutti. Fino all'Il settembre di quasi vent'anni dopo, quando anche quei versi («Arrivano gli aerei. Aerei americani. Faresti meglio a prepararti. A prepararti a fuggire») acquistano un significato compiuto. Spaventoso. (Mia valutazione: Capolavoro)

di P. M. Scaglione - Rock! (Einaudi)

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