Queen - A Night At The Opera (1975)
Giunti al quarto album, dai Queen ci si aspetta «un Sgt. Pepper» (se lo aspettano anche loro, e lo ammette Bryan May, il chitarrista), ma un Sgt. Pepper dei Queen non può che essere eccessivo, quasi parodistico. Ecco allora il titolo, che riprende quello di un film dei fratelli Marx, il primo senza Zeppo, ecco allora — negli otto anni trascorsi da Sgt. Pepper's Lonely Hearts Band le piste disponibili in studio sono passate da quattro a 24 — le sovraincisioni che diventano uno strumento espressivo fondamentale, un modo di essere piú che una tecnica. Sulla copertina dell'album si arriverà a scrivere che «nessuno ha suonato sintetizzatori», tanto si è orgogliosi della perfezione a cui si è giunti nell'arte della registrazione. Si racconta che il nastro su cui si trova Bohemian Rhapsody sia cosí usurato da diventare quasi trasparente, quando il lavoro è finito. Le sole parti vocali nelle quali armonizzano Bryan May, Freddie Mercury e Roger Taylor nascono da un totale di quasi duecento sovraincisioni: ore e ore di cantato per ottenere un coro degno di un'opera. Per registrare i sei minuti di quella che diventerà la piú nota canzone dei Queen ci vogliono tre settimane, quanto si impiega di solito a realizzare un album intero. E l'album, quando uscirà, con quel singolo che è già al numero uno, verrà dichiarato il piú costoso mai realizzato. Eccesso, parodia ed eclettismo: ecco il terzo ingrediente della ricetta Queen, mai come in questo caso messa in pratica senza esitazioni. Hard rock, armonie vocali in stile californiano, tocchi progressive nella costruzione delle canzoni, virate quasi folk: se in un album dei Queen si può trovare quasi tutto, in questo si trovano addirittura incisi pianistici che sembrano citazioni di Chopin e intermezzi operistici. Infine, Bohemian Rhapsody: sei minuti in cui si condensa un mondo, quello di colui che la canzone l'ha scritta praticamente da solo, e cioè Freddie Mercury. Sei sezioni, montate una dopo l'altra a stacco, che passano da un'introduzione a cappella a una ballata pianistica, da un assolo di chitarra alla parte che Mercury chiama «opera», da una sezione hard rock a una conclusione in dissolvenza. Piú di cosí, a un'idea di melodramma rock'n'roll non ci si può avvicinare: per quanto il testo si ispiri allo Straniero di Camus, qualcosa ci dice che non di opera si tratta, ma di operetta. (Mia valutazione: Discreto)
di P. M. Scaglione - Rock! (Einaudi)
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