King Crimson - In The Court Of The Crimson King (1969)

Quando arrivano al primo album della band, i musicisti che fanno parte dei King Crimson non sono proprio dei debuttanti: i fondatori del gruppo, Robert Fripp, chitarrista, e Michael Giles, batterista, hanno già alle spalle un album; Ian McDonald, che suona molti strumenti a fiato e il mellotron, è con loro da qualche tempo: è lui che recluta Peter Sinfield, che suona il sintetizzatore e sarà autore dei testi del loro primo album. In ultimo, si aggiunge Greg Lake, al basso, un amico d'infanzia di Fripp. Partono subito alla grande: la prima uscita live significativa è quella di fronte ai 600 mila che riempiono Hyde Park per sentire i Rolling Stones nei giorni che seguono l'improvvisa scomparsa di Brian Jones. Entrano in studio poco dopo, e superata una falsa partenza, con un produttore che evidentemente non va, in soli otto giorni registrano un album che trasporta tutti - ascoltatori e musicisti — in una dimensione nuova, forse quella del nuovo decennio in arrivo. E una realtà parallela nella quale i brani possono durare dieci minuti, e i suoni non sono piú quelli limitati della combinazione di chitarra-basso-batteria. Il loro è un album dalla perfetta simmetria, in cui il primo e l'ultimo brano fanno mostra di una rabbia rock'n'roll e i tre centrali sono piú distesi, qua e là perfino eterei. Il mellotron, uno strumento inventato da pochi anni a Birmigham, una sorta di organo che suona nastri pre-registrati, è il simbolo di tutto ciò. Non che sia una novità, o un'esclusiva: lo usano i Moody Blues, perfino i Beatles in Strawbeny Fields Forever l'hanno messo al centro del loro sound. Ma i King Crimson fanno un passo in avanti: le loro non sono semplici canzoni con sonorità innovative, sono piccole suite che alludono alla musica barocca, a oscure mitologie esoteriche, e hanno un andamento classico, ben piú complesso della solita alternanza tra strofa e ritornello (e inciso, ovviamente). Non a caso, è questo il suono che arriva dalla vecchia Europa, dall'Inghilterra, che non si può far bastare il pop — sia pure suonato con le chitarre elettriche -- che oggi passa per rock'n'roll. Ci vuole qualcosa di piú, una riflessione sull'uomo contemporaneo, un'atmosfera musicale che offra possibilità di espressione piú ampie. Nasce il progressive, o prog, destinato, in tutte le sue varianti (piú o meno sinfonico, piú o meno folk) a risuonare — soprattutto in Europa — per tutti gli anni Settanta. (Mia valutazione: Ottimo)

di P. M. Scaglione - Rock! (Einaudi)

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