Neil Young + Promise Of The Real - The Monsanto Years (2015)

di Paolo Carù

Preceduto da feroci critiche ma anche da recensioni positive, il nuovo album di Neil Young non è certo un disco da buttare. L’inglese Mojo, che dà quattro stelle a cani e porci, gli affibbia uno striminzito due e mezzo, altri addirittura due stelle. Onestamente, dopo averlo ascoltato abbastanza velocemente (ne siamo venuti in possesso quando il numero di Luglio era già chiuso), non possiamo definire questo disco brutto, assolutamente no. Ci sono almeno quattro canzoni sopra la media, quindi belle e, anche se qualcuna ha un titolo bizzarro (su tutte A Rock Star Bucks A Coffee Shop) il mio giudizio è decisamente positivo.

Neil Young è il solito treno in corsa. Se ne sbatte altamente e va contro tutti: media, corporation, la compagnia agrochimica Monsanto (che opera con biotecnologie agrarie e che, a detta di molti, sta rovinando l’America con gli OGM), Starbucks, Chevron, Wallmart. E, almeno a livello personale, non sono proprio in disaccordo con Young. Wallmart, assieme a mutandine e caramelle per bambini vende anche le armi, Monsanto è nell’occhio del ciclone da tempo, Starbucks ha firmato un accordo con Monsanto e chi più ne ha più ne metta. Young non è nuovo a dischi di questo genere: basta ricordare Greendale, Living With War, Fork in The Raod. Tutti album contro qualcosa o qualcuno, più o meno riusciti (forse meno che più). D’altronde gli ultimi anni del canadese sono stati molti discussi: dal disco con Daniel Lanois (Le Noise), al recente A Letter Home a me sono piaciuti entrambi) per non parlare di Storytone (discutibile operazione metà acustica, metà orchestrale) sono stati dischi che hanno confermato gli alti e bassi del canadese. Solo i due coi Crazy Horse (Americana e Psychedelic Pill) hanno avuto consensi maggiori.

In Monsanto Years Neil si fa accompagnare dai Promise of The Real, la band di Lukas Nelson (figlio di Willie Nelson), band in cui suonano (come ospite) il fratello Micah, mentre gli altri sono Anthony Logerfo e Corey McCormick. Monsanto Years è un disco interessante, un disco molto elettrico, con riferimenti al suono dei Crazy Horse, cominciando dall’iniziale A New Day For Love, proseguendo con la lunga Big Box. La canzone di punta, quella con il titolo abbastanza ridicolo (A Rock Star Bucks a Coffee Shop) è un solida ballata young-style, con una parte fischiata e una bella melodia di fondo che cresce, ascolto dopo ascolto. A me è piaciuta al primo colpo e, sono sicuro, piacerà molto ai fans del canadese. Trovo molto bella anche Wolf Moon, introdotta da una armonica che mi ricorda i tempi di Harvest. Ballata notturna, ha un sound classico a cui non è estraneo il suono della band di Lukas Nelson (che tre anni fa avevo recensito positivamente, con il disco Wasted del 2012). Una ballata che entrerà presto tra i top del canadese. Anche la lunga (più di otto minuti) Big Box è una classica composizione elettrica del nostro. Parte con le chitarre aperta e ha un train vibrante alla Cortez The Killer. Lunga, con belle parti di chitarre, vive sulla voce di Neil e sulle accordature delle due electric guitars. La gente vuole sentire canzoni d’amore e non critiche, ma è lo stesso Young a dirlo con un’altra composizione degna di tal nome: People Want to Hear About Love. Un brano rock, chitarristico ma dannatamente godibile. Altre composizioni, forse un gradino sotto quelle da poco descritte: A New Day For Love, la criticatissima Monsanto Years e Rules of Change.

Young è Young, lo sappiamo da tempo, ma questo disco, testi a parte, è abbastanza classico e non molto distante dai quelli coi Crazy Horse. E a me non dispiace affatto, anzi cresce ascolto dopo ascolto. (Mia valutazione: Distinto)

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