The Vaccines - English Graffiti (2015)
Graffitismo: la pratica di disegnare immagini sul tessuto urbano. Si fa per lasciare il segno, per non rimanere nell’anonimato. Una manifestazione sociale e culturale diffusa in tutto il pianeta e che da sempre si pone al centro di una sottilissima linea che separa arte e vandalismo fine a se stesso. Un eterno conflitto che di certo non spetta a noi risolvere. La posizione dei The Vaccines è invece molto decisa a riguardo: Justin Young, il simpatico frontman del gruppo, sostiene che in un’epoca in cui l’uomo è in grado di comunicare con un’altra persona dall’altra parte del mondo così facilmente, spesso le parole dette risultano vuote e senza significato. A volte, quindi, è meglio affidarsi a parole ferme, solide, scritte sui muri: Graffiti (appunto).
È proprio per questo che il terzo lavoro dei Vaccines s’intitola “English Graffiti“. Con quest’album oggetto della recensione di oggi, la band inglese cerca di confermare il successo ottenuto negli ultimi anni e il suo brio con ottime possibilità di riuscita, devo dire, perché gli spunti sono tanti.
English Graffiti si presenta con suoni vecchi e nuovi: Handsome, ad esempio, riprende esattamente il canovaccio di If you wanna e Nørgaard, singoli di enorme successo del primo album; mentre Dream lover e Minimal Affection rappresentano le nuove influenze e le nuove tendenze verso cui i Vaccines sono indirizzati. Un po’ Muse, un po’ Django Django. Insomma, molto più aperti nei confronti di una fetta di pubblico che ancora non erano riusciti a catturare. I want you so bad dice poco e niente: lenta e poco originale, un po’ tappabuchi oserei dire. Lo stesso vale per Give me a sign, che al primo ascolto mi è sembrata la nuova “You’re gorgeous” dei Babybird, l’indimenticata colonna sonora di uno spot pubblicitario del ’99.
"Con questo nuovo album abbiamo voluto proporre una musica che possa suonare stupefacente quest’anno e che possa poi far letteralmente schifo tra dieci" afferma sempre Justin Young, confermando ancora una volta la sua verve puramente brit.
Ecco, schifo è sicuramente un parolone, ma nonostante sia un termine uscito dalla bocca del leader del gruppo, credo sia perfetto per capire a pieno lo stile The Vaccines: una band piacevolissima al primo ascolto. Basti pensare ai tempi di “What did you expect from The Vaccines?”, quando, oltre alle già citate Nørgaard e If you wanna, che ci hanno fatto sbattere su e giù la testa come ossessi, ascoltavamo con piacere anche Wetsuit e All in white o Post Break-up Sex, facendole subito nostre per i loro testi semplici e ritornelli super catchy.
Con il secondo album, “Come of age”, la band allarga i propri orizzonti, abbandonando quella nicchia da cavern club inglese, per arrivare alle orecchie di tutti (vedi Teenage Icon e Bad Mood, letteralmente due mostri da Mtv per intenderci). E abbandonati questi benedetti cavern club, diciamo che il percorso in analisi fila piuttosto liscio, prendendo pieghe per certi versi ArcticMonkey-siane, perché proprio come “AM” delle scimmie inglesi, English Graffiti è registrato interamente negli USA e viene prodotto da David Fridmann (Tame Impala, Flaming Lips). E si sente eccome.
Altra particolarità di quest’album è che i Vaccines ci hanno lavorato con l’intento (più volte dichiarato) di volersi avvicinare il più possibile a The Woods delle Sleater-Kinney, paragone che definirei SUBLIME. Soltanto l’idea di un matrimonio tra frontman così estrosi, Corin Tucker e il nostro Justin, sarebbe a dir poco sensazionale.
In conclusione, questa ventata di novità non è esattamente quello che ci aspettavamo. Sperando si tratti soltanto di una fase di transizione, rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo un modo per farceli piacere, perché è risaputo che, seppur fastidiosi e pungenti, i “vaccini” sono fatti per il nostro bene. (Mia valutazione: Buono)
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